Monticelli Brusati, 1946. 

Pur avendo frequentato per qualche tempo l’Accademia Carrara di Bergamo sotto la guida di Trento Longaretti, Enzo Archetti può considerarsi autodidatta. Ancor giovane e in piena evoluzione, ha tuttavia una visione coerente e singolare nel mondo pittorico bresciano. Sia che affronti un paesaggio, una natura morta o meglio ancora le sue figure femminili delle quali pare cogliere l’essenza, l’intima vita attraverso quei toni lievi, evanescenti: quasi che la presenza umana, campeggiante nel vasto panorama o appartata su un lato della tela, assuma valore simbolico.

Anche se le composizioni arieggiano al Liberty per quei cappelli femminili dalle enormi tese, per l’abbigliamento composito e ricreato con calligrafica precisione, v’è in esse l’inquietudine dell’autore che affida loro la propria “vibrante passione di uomo che prova continuamente la necessità di ritornare sulla stessa tematica” quasi nel bisogno di sempre più penetrare quanto s’agita nel cuore umano Dolcezza espressiva, ma tensione intima d’un pittore che ha già raggiunto invidiabili traguardi.

Fin qui la prima edizione del “Dizionario” diffusa nei primi anni Ottanta del secolo passato. Trascorsi oltre due decenni si è infoltita la sequenza delle mostre personali tenute da Archetti in noti spazi espositivi di Milano (1981, 82, 1990, 91), Modena (1984), Verona (1989, 1991, 93, 95, 99), Tokio (1991), Brindisi (1992, 2001), Vicenza (1995), Rimini (1998), Bari (2002). E Brescia (1982, 83, 84, 1994, 95), con vari luoghi provinciali.

Più fitta ancora la nota delle partecipazioni a rassegne collettive locali, in Italia e fuori. Ma quel che più interessa è l’evolversi della creatività del pittore, che dai paesaggi intesi come mondi possibili, passando per le figure femminili emblemi di poesia, gioia di vivere, inquietudine emozionante, è pervenuto a proporsi il confronto col passato al fine di interpretare il presente, fino alle immagini costruite sui muri evocanti storie antiche, distruggendole poi per ricreare forme significanti l’ordine. Ben osserva allora Fausto Lorenzi intuendo in Archetti la rimozione del languore, che non dice ineffabile il senso delle cose, ma cerca traccia nelle occasioni quotidiane, un rimando di eccitazione fantastica a grandi archetipi… Alla leggera garbata sfumatura è subentrata una più asciutta e virile contemplazione meno intimistica, più aderente alla crosta del nostro tempo.

BIBLIOGRAFIA

F. LORENZI, “Archetti. Opere 1992-1995”, Brescia, ottobre 1995.

AA. VV., “Archetti. Sinfonie”, Brescia, Pieve di Urago Mella, 9 novembre - 1 dicembre 2002. (Con Apparati).

Pin It