Napoli, 1942.

Solo si accenna a questo giovane pittore napoletano che, trapiantato a Brescia dal 1976, già ha fatto dire di sé noti critici locali, dopo i consensi riscossi in occasione di apparizioni in Avellino, Frosinone, Mlíano, Roma, Foggia ecc.  Già nel gennaio 1977, da poco tempo in città, allineava suoi dipinti nella «Piccola galleria U.C.A.I.»; dipinti di tendenza astratta, quasi che l'autore intendesse «rappresentare l'infinito spazio universale, o l'infinito nulla, nella ricerca di punti che possano dare all'uomo una stella polare... per la sua perigliosa navigazione». Nella successiva mostra («S.  Michele», 1978) Palumbo afferrpava la consapevolezza che «l'uomo si avvicini sempre più al precipizio dell'incoscienza esistenziale che rischia di attrarlo in maniera irrimediabile». Se non erriamo, proprio l'@pera riprodotta in catalogo, con l'intento didascalico, sembra graficamente tradurre il tragico epilogo dell'umanità. Si indicano in Elvira Cassa Salvi («Giomale di Brescia», 3 febbraio 1977), G. Stella («La Voce del popolo», febbraio 1977) e L. Spiazzi, che lo ha presentato in catalogo e recensito («Bresciaoggi», 10 febbraio 1977), i primi scrittori bresciani interessati alla pittura di Vittorio Palumbo.
 
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