Brescia, 13 luglio 1849 - 10 aprile 1932.

La vasta mostra commemorativa allestita nelle sale della «Associazione artisti bresciani» nell'ottobre 1971, arricchita dal contributi offerti in catalogo dal dottor Panazza e da Gabriella Rovetta Dugnani, ha rinverdito fra 'noi il ricordo di Francesco Rovetta: pittore silenzioso che ancor oggi sembra proseguire, attraverso le opere custodite da pochissimi appassionati, il sommesso cammino che ne caratterizzò la operosa esistenza.
Non a caso Geo Renato Crippa, a soli cinque anni dalla scomparsa gli dedicò notevole saggio intitolato «Francesco Rovetta pittore misconosciuto».  E pure, il frutto di attività feconda già era stato raccolto da diffusi periodici, già la Mostra della pittura bresciana dell'Ottocento lo aveva posto in evidenza, anche per scritti di studiosi quali Enrico Somarè; affidato a pagine di «Emporium», dell'autorevole «Thieme Becker», come più tardi avverrà di Dizionari ed Enciclopedie notissimi.
Ciò nonostante, la fama dell'artista sembra prediligere i limiti del territorio bresciano.  Se ne può ravvisare motivazione anche nel fatto che il nucleoessenziale delle opere rimane gelosamente custodito dagli credi, che l'epoca e l'ambito provinciale in cui Rovetta si è formato e affermato attendono luci rischiaranti: ma ancor più l'uomo di singolare modestia, che sempre ha negato occasione non dico di fragore, ma soltanto di sussurro intorno alla sua persona e alla passione sua pittorica.
Il conflitto ultimo, il susseguirsi tumultuoso di nuove espressioni artistiche hanno ancor più allontanato da noi gli anni in cui Francesco Rovetta visse; e con gli avvenimenti di quel tempo anche il ricordo del personaggi esauritisi nella cerchia cittadina appaiono velati, se non oscurati, dagli eventi che scuotono i nostri giorni.
 
L'epoca, l'ambiente nei quali Rovetta operò vanno tuttavia rischiarandosi, imponendo anche una più esatta conoscenza del pittore e della sua attività inserita, è vero, fra la pacatezza ottocentesca e i fremiti del primo Novecento, ma pervasa di attimi precorritori che la rendono attuale; testimonianza viva delle trascorse, significative vicende.
Della Brescia di inizio di secolo Rovetta è stato figlio fra i più attivi, non soltanto come pittore, ma per l'autorevole presenza fattiva in molte manifestazioni che vivacizzarono la città: fra gli esponenti di una erudizione e di una cultura assurte ormai a storia,
Già sono stati ricordati gli incarichi affidatì a Francesco Rovetta come «consigliere comunale, membro autorevolissimo della Commissione di vigilanza della Pinacoteca, della Commissione provinciale per la conservazione del monumenti, fabbriciere della sua parrocchia in città e nel dolce paese di Franciacorta, fondatore della benemerita fucina di artisti bresciani nota come
Arte infamiglia»: la sua presenza si estende anche alla organizzazione della
mostrad'arte in palazzo Bargnani in occasione dei festeggiamenti a Moretto
(1898),al Consiglio della scuola professionale Moretto (1900 circa); preziosa si
rivelerà in seno al Sottocomitato per la Esposizione del 1911 a Roma, quando Brescia, rappresentata da Vittorio Trainini, avrà modo di far conoscere all'Italia l'opera di L. Gambara, presenti Sovrani, pubblico cosmopolita venuti alla capitale per celebrare il cinquantenarlo della Unità.  Cavaliere della corona d'Italia (aprile 1917), socio del nostro Ateneo e membro di commissioni giudicatrici per l'assegnazione dei Legati Brozzoni, membro alfine della giuria incaricata di scegliere i bozzetti per il ricordo a Cesare Battisti (1917) accanto a Canossi, Contratti, Zuccari, Arcioni...
Se la passione pittorica avvicina Rovetta ad artisti quali Filippini, Modesto Faustini, Bertolotti, Venturi, Amus, Cresseri, Castelli e G.B. Ferrari, suo primo maestro, la sua esistenza, oltre che dalla lettura del Manzoni, di Rosmini e Tommaseo, ricevere luce dalla conoscenza di ecelesistici quali Fè D'Ostiani, Pilati, mori s. Bonomelli.
Del prof.  D. Francesco Pilati tesserà l'elogio funebre, il 19 settembre 1910, rivelando dell'amico le doti umane e il fervore di una eccezionale vocazione spirituale.
Quotidiana diverrà la comunione con studiosi frequentanti l'Ateneo: da Pietro Da Ponte a Ugo Da Corno, da Gaetano Fomasini al co: T. Lechi, Fabio Glissenti, Flaviano Capretti, Vincenzo Lonati... Nuova luce assumono i non pochi incarichi pubblici, le consulenze artistiche via via espletati e che posero Rovetta a percorrere per lustri il cammino con Carlo Manziana, emergente figura e pittore meritevole di più approfondita conoscenza.
Proprio con Manziana, Pietro Da Ponte, Pio Bettoni, l'Arcioni, Andrea Fossati, l'ori.  Quistini, l'avv.  Orefici e altri non meno noti studiosi e artefici Francesco
Rovetta posò le basi per l'ottima presenza bresciana in Roma; ancora con
Tagliaferri, Da Ponte, Manziana, Dabbeni, Francesco Pasini sarà membro della
Commissione esecutiva della manifestazione pubblicamente elogiata a festeggia- menti conclusi.
Né si insiste a ricordare mostre artistiche, allestite in Pinacoteca o nel Teatro Grande durante il primo conflitto mondiale, che videro Rovetta operare a sostegno di artisti e dare efficacia a iniziative dedicate al soldati impegnati in battaglia.
Tutto ciò a margine della attività commerciale dalla quale trasse sostentamento per serena esistenza, sua e della numerosa famiglia: fissata più volte nella tela, dal figli Federico, Giuseppe, Giovanni alla moglie, ai più cari congiunti.
Uomo dunque dal molteplici interessi, presente con l'intelligenza e l'esperienza
là dove la città nostra significativamente seppe esprimersi.
Il dott.  Panazza ha recentemente ribadito la linfa spirituale e culturale di Francesco Rovetta; ha delineato l'essenziale carattere del cammino artistico ed ha espresso rammarico per le difficoltà incontrate nell'identificare lo sviluppo della sua pittura, a cuasa della omogenea unità che si può cogliere dalle prime alle ultime opere, e per l'affermarsi in quella unità di due modi pittorici fra loro intersecantisi e caratterizzati, l'uno da stesura larga, sintetica; dal tocco sfarfallante l'altro. Ha colto altresi un ammonimento offerto ancor oggi ai giovani, a tanti «artisti che credono di essere arrivati per aver presenziato a una mostra o aver ottenuto un modesto premio». Nel fervore di una esistenza piena, confortato dall'amicizia di Francesco Filippini, Faustini, Manziana, ai quali dubitoso sottoponeva le prove della passione pittorica, sentendosi debitore nei confronti dei primi della accettazione di sue opere alla Esposizione di B.A. in Roma nel 1882 e alla Triennale milanese del 1894, il tempo dedicato all'arte fu per Rovetta impegno severo. Lo attestano gli studi numerosi, la cura con la quale preparava e portava a compimento le opere. E se è vero che suscitò perplessità in chi lo accusava di «non saper finire un quadro», ebbe autorevole difensore Cesare Bertolotti, la cui breve attività critica meriterebbe esser meglio nota.  Era oggetto della disputa il dipinto Maria Addolorata da poco collocata nella chiesetta di Costalunga (1884), pala di notevoli dimensioni cui nuoce l'assenza di consumato mestiere.  Ma a quell'epoca Rovetta aveva di poco superato i trent'anni; verrà più tardi la Crocifissione in S. Giacomo al Mella, clogiata da Cresseri, e il pieno possesso della tecnica si rivelerà in altre opere quali la copia del Redentore di Raffaello, custodita dalla Pinacoteca; la Cena in Emmaus e Annunciazione tratte da tele del Moretto e definite frutto di abilità grandissima. Anche le poche incertezze notate nel dipinto Veduta di lago, databile intorno al 1865 non valgono a scalfire la capacità di sintesi e le qualità cromatiche
maggiormente affinate in successive tele e racchiudenti la meditazione condotta sugli Impressionisti durante il soggiorno parigino del 1872.
Se è vero che in alcune composizioni è possibile cogliere derivazioni da amici bresciani (Filippini, Faustini, Venturi), che altre suggeriscono i nomi di Tranquillo Cremona, Mosè Bianchi, Carcano, queste sono maggiormente avvertibili negli anni della formazione, fino al 1875 o poco oltre.  D'altro canto, anche i motivi scelti in quegli anni derivano dalla pittura... accademica ancora perseguita da non pochi e affermati pittori.
Così, il tema storico echeggia in Fuga da Pompei, Sacrestia (1887 circa), fatte di luci radenti, pervase di tragica atmosfera; i vari interni (1889, 1890 circa) dedicati a l'angolo rustico, Finestra, Finestra con tenda, lo Studioso ricreano visioni abbondantemente sfruttate da apprezzati artefici. Il filone maggiormente significativo delle opere rovettiane, quello in cui il pittore attraverso l'acquisita capacità di sintesi riesce a far vibrare l'essenza poetica del suo animo è da ricercarsi altrove: nel Ritratto della moglie colfiglio Giovanni (1883 circa), in Venezia al vespro (1890-1893), nel Ritratto della moglie in giardino (1904-5), nel Muro rosso (1905), in Capanni sulla spiaggia (1909) in altre opere ancora: Barche a Sirmione, Platani lungo il Tosa, «dalla insorgenza metafasica», Palafitte dalla vibratile luce che tutto inonda, Case rustiuche dai sapidi toni, dallo scorcio ardito.
In tutte queste tele il motivo raffigurato si esalta nella sintesi che la luminosità conchiude e al tempo stesso espande in canto alto. «Una spazialità che giunge al cuore delle cose» per fissare attimi di vita e aspetti di paese immutabili nella memoria.
Se da un canto le opere della giovinezza paiono prevalentemente pervase di realismo intimista, nelle maggiori e più mature si ravvisa ciò che è stata definita malinconia che avvia al tormento dei nostri giorni. Là dove la capacità di riassunto si congiunge alla evidenza plastica riesce a creare notevolissimi ritratti, a ricomporre aspetti vibranti della natura.  E il caso di Muro rosso già menzionato; è il caso del ritratti della fidanzata, della moglie in giardino.  Nel viso giovanile della prima figura v'è fragranza raggiunta a mezzo di plastico tocco steso a larghi piani a ricomporre il degradare mosso degli alberi, il bianco lumi noso vestito; nel volto eseguito nella maturità, il colore arido, i castigati accordi attraverso i contorni definiti e la pacata espressione, trasmettono la soavità dei sentimenti, la pace interiore a cui l'avanzare del tempo induce.
Né vanno ignorati i numerosi acquarelli realizzati da Francesco Rovetta con tratto largo su fondi lievemente colorati in cui i volumi sono solidamente costruiti a macchie sovrapposte e scandite; i disegni che rivelano un accurato studio degli antichi, la abilità costruttiva del nitidi tratti a ricomporre oggetti, un profilo, il guizzante gioco di un animale, l'amorevole goffaggine d'un amico...
 
BIBLIOGRAFIA
Sta in:
R.LONATI, Artisti di casa nostra, F. Rovetta, «L'Ogliolo-Bresciaieri», a. 111, n. 12, dicembre 1977.
 

 

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