Chiari, 15 febbraio 1912

Frequentati i corsi dell'Accademia di Brera, a Milano, nel capoluogo lombardo si è laureato in architettura.
A Brescia si ritrova Signoroni appena dopo il secondo conflitto mondiale, presente alla mostra dell'Associazione artisti bresciani («Giornale di Brescia», 24 ottobre 1946).
Ancora per poco però, perché il pittore nostro intraprende attività che lo conduce a presenziare in mostre a carattere nazionale e internazionale; alla Sonderschau «Modernes Wohuen Italia» di Monaco di Baviera, alla Biennale di Venezia del 1948 e poi alla Biennale di Milano, ai Premi F.P. Michetti, Clusone, Ramazzotti, Poussin, Burano, con rari ritorni nel Bresciano, come per il Premio Iseo...
Mostre personali ha allestito a Brescia, Bolzano, Strà, S. Remo, Milano (1964).  Mostra antologica, quest'ultima, che ha consentito di riunire trent'anni di pittura di Paolo Signoroni.  Trent'anni di lavoro, come ha scritto il compianto Garibaldo Mar-ussi, inseriti nel corso forse più turbinoso delle vicende dell'arte contemporanea.
E come è facile - quando si abbraccia un così lungo periodo d'anni - cogliere il senso del percorso dell'arte, i momenti diversi, le impennate, in personaggi già consacrati dalla fama - prendiamo il caso di Léger in Francia o di Carrà in Italia - volenti essi o nolenti, così riesce del pari agevole effettuare le stesse scoperte, reperire le stesse tracce in tutti coloro che hanno vissuto le identiche vicende della storia della civiltà.
Signoroni, trent'anni fa, non poteva essere diverso da come si presentava: era un pittore figurativo, come si dice oggi, in un certo modo; un pittore che aderiva alla rappresentazione della realtà quale era nell'aria allora, con sue peculiarità di colore, di pennellata, di impaginazione.  Con un suo preciso carattere.  E questo è leggibile con chiarezza, anche oggi, a distanza di anni.  Restava anche in pittore dell'alta Italia, con le sue illazioni di gusto, d'atmosfera, di cultura, e quindi di preferenze che tale fatto comporta.
Poi una sosta prolungata e ripetuta a Panarea, l'incontro e la comunione con la grande luce, l'urto iniziale degli occhi e dello spirito con la violenza del colore, non potevano mancare i loro effetti.  Così come proprio e accaduto a tanti artisti del nostro tempo, per citare i più noti, da Matisse a Klee, da Mathleu a Dubuffet, e De Staél.  Naturalmente, ciascuno con i suoi problemi e con i suoi risultati.
Ovviamente, dopo questa avventura, in Signoroni l'istanza figurativa non fu cancellata.  Nè poteva essere diversamente, per una coerenza forse solo di puntiglio.
Ma se ne è avvantaggiato il colore, diventato più inquetante ed esplosivo.  E se ne è avvantaggiata anche la impostazione formale, fattasi più libera e sciolta, meno legata al persistere di canoni novecenteschi.
Opere come Case a Panarea si accendono di luci quasi surreali.
 
BIBLIOGRAFIA
Sta in:
A.M. COMANDUCCI, «Dizionario dei pittori... italiani», Ed.  IV, (1972).

 

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