Bagolino, I giugno 1922.

Riconosciuto da tempo e da insigni scrittori d'arte fra i più validi esponenti della pittura non soltanto bresciana, affermato in esposizioni severe in campo nazionale, apprezzato all'estero, Antonio Stagnoli resta nella sua città a volte ignorato.  Il suo tratto, ricco di espressività, ricrea una realtà che è parte di noi tutti, ma rifiuta «soggetti gradevoli, facili effetti decorativi, soluzioni che si esauriscono nei valori formali», così che i più non ne sanno avvicinare le opere.  La giovanile predilezione di Stagnoli va a Vari Gogh, artista immerso nella vita degli umili, dei diseredati, dei dimenticati.  Nato a Bagolino, il nostro pittore di quell'aspra terra nulla ha dimenticato; e alla memoria della sua terra si accomuna il dramma d'un bambino che, a soli quattro anni, rivolgendosi alla propria madre più non riesce a gioiosamente gridasse il nome, non udendone al tempo stesso la voce.
Così l'indimenticabile giornalista Bruno Marini ricrea la triste giovinezza del futuro pittore: a quattordici anni già orfano, ai Pavoniani gli imparano le prime parole, e primissima m-a-m-m-a che se n'era andata da tempo.  Il ragazzo di valle disegnava con i gessetti, scalfiva l'intonaco delle camerate, era un mondo confuso e primitivo che riemergeva da una coscienza scioccata, inquieta.
Brera, alfine, al compiersi del secondo conflitto mondiale, con i maestri Carpi, De Amicis e Umberto Vittorini il quale, oltre che riflessa l'angosciosa inquietudine del proprio animo, nel tratto dell'allievo bresciano deve aver avvertito il rinnovarsi del desolato cammino di Lorenzo Viani.
Con l'insegnamento accademico, negli anni grevi del dopoguerra, giova anche l'emergere del levitante e consonante operare di giovani mossi dall'ansia che si agita nella provata umanità: giovani attratti da nuove forme di realismo ed affermatisi in seguito in virtù di sapiente tecnica, ma ancor più per il civile impegno, da Guerreschi a Bodini, da Romagnoni a Vaglieri, e Ceretti, Diana, Omatì...
Della tragedia immane appena vissuta Stagnoli ripropone non paludate divise, non armate d'invasione o campi di sterminio, non immani distruzioni di città e di esseri umani; bensì la silenziosa, atroce tragedia che ancor più fa chine le spalle dei poveri, che più ne incava gli ormai inariditi occhi, la gente della sua montagna, quella sorpresa ad errare nella immediata periferia e legata ad una attività che da sempre odora di terra, imbevuta di sacrifici e di rinunzie.
Delle sue valli, delle sue campagne per decenni ha ritratto gli aspetti meno noti, aninìando le carte non soltanto di mandriani, di contadini, di ortolani dai visi defori-ni, sprizzanti fatica, rosi dagli stenti, «segnati da un marchio di miseria e di ingiustizia».
Anche la natura che completa le opere si anima di drammatici moti: non fondale, ma protagonista anch'essa a dolorosamente premere l'animo del pittore.  Si potrebbe delineare il cammino artistico di Stagnoli con le opere emerse in occasione di note manifestazioni o dettate da particolari circostanze: alcune figure adagiate fecero conoscere il giovane artista a S. Diego (1960); la Tragedia della Valle Camonica (1961) è il plastico compianto per tante vittime di inopinata sciagura; Mendicante (1962) gli valse il Premio «La Parete»; Stalla (1963) il «Premio Copparo»; i «Miti e leggende» di Sandro Fontana hanno ispirato le raffigurazioni di lontane vicissitudini del mondo contadino; la Resistenza (1965) Tutore (1967) riflettono altrettante occasioni in cui l'animo dell'artista è mosso da emozioni.
Opere che, parte di un mosaico, nascono da estrema coerenza, da non mai attenuata tensione morale.  Quell'insistere, quel ripetersi, quel riproporre «personaggi» ed eventi d'una tragica realtà sono la forza di Stagnoli il quale ha il merito di approfondire una vibrante ricerca attraverso un espressionismo che ' fa e 'tica sociale, oltre che adesione umana. Non staticità, quindi, ma escavazione.
E dalla china all'olio, i personaggi si muovono dentro una ossessiva attesa: alla finestra, sulle balconate, fermi nel tempo, impietriti.  Dalla pietra sembrano derivare quei colori chiari, agri, acidi in una magra stesura - come ha osservato Giuseppe Tonna - e sul duplice sentiero del segno e del colore, che si arricchiscono a vicenda, da vari anni il pittore avanza, non immemore della tradizione bresciana che affonda le radici nel secolo di Romanino e Moretto.  Lunga la serie delle manifestazioni cui Stagnoli ha preso parte e riflesse nella nota documentaria.  Basti qui accennare le Quadriennali di Roma (1959 e 65), l'Intemazionale di Zagabria (1959), le Biennali di Milano (1959, 61, 65, 67), i Premi: Città di Milano (1962), il F. Torri (1962), La Parete (1962), Suzzara (1962), le varie manifestazioni dedicate alla Resistenza (Chiari, Piacenza, Milano, 1965, Brescia, 1977); I'Vlll Mostra nazionale del bianco e nero (Milano, 1972), Reggio Emilia (1966, 69), la bresciana rassegna «La coscienza del reale» del 1974.  Mostre personali ha allestito in note gallerie di Brescia (1958, 62, 66, 68, 69, 79), Milano (1959, 64, 65, 67, 72, 75), S. Diego in Califomia (1960), Bagolino (1964), Francoforte (1963), Venezia (1965), Firenze (1969), Padova (1970), Verona (1971), Bologna (1972), Roma (1973), Desenzano (1974), Parma (1976), Salò (1980).
 
 
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