Cazzago San Martino, 27 maggio 1931.

Allievo di Achille Funi presso l'Accademia di Brera, in Milano, reca nelle sue prime opere il segno delle atrocità d'una guerra annientante la personalità dell'uomo; con la devastazione morale e materiale, con i campi di sterminio nazisti incisi nell'occhio e nell'animo adolescente, ma fatto consapevole di una tragedia immane, portata dentro negli anni e rimeditata attraverso la creazione artistica.

Uno schema «assai semplice, una gabbia cubica di rete metallica a maglie larghe, costruita artigianalmente, e una forma intrappolata di materiale plastico irrigidito dalla pittura a spruzzo.La forma del materiale plastico è in origine un pallone (o sacco) inserito nella gabbia, gonfiato con aria che viene fermato dallo strato di pittura ad essicazione quasi istantanea nel momento in cui comincia a raggrinzarsi, ad afflosciarsi: solidificandosi in un attimo sempre diverso», come lo stesso autore afferma.

Ne sortono visioni inquietanti, che ben riflettono la condizione umana durante i tragici eventi cui fanno riferimento, anche se i «palloni» o i «sacchi» ingabbiati non hanno sembianza di creature.Ma forse per questo il loro aspetto, il loro significato si espandono fino a racchiudere «l'incenerimento» d'ogni essere umano e non soltanto nel giorni, nel mesi, negli anni dei campi di sterminio.

Questa proposta costruttivista ci sembra protratta fino alle soglie degli anni Settanta.Ad essa sono subentrati «piccoli quadrati di feltro stampigliati con una stessa immagine o segno» e strane tavole pitagoriche; oppure piccole buste di cellopan che contengono, quasi in formato tessera, la foto del rovescio d'una foto, con un numero progressivo, corrispondente ad altrettanti elementari dati percettivi, com'ebbe a dire Elvira Cassa Salvi in occasione della mostra personale di Zini allo «Studio C», nel 1972 e che negli esiti concettuali vedeva la «estenuazione estrema della forza poetica che a noi discende dai secoli: i secoli della civiltà borghese».Le cui lievi impronte ancora percepibili nelle opere modulate sembrano essere le ultime, le scolorite orme prossime alla cancellazioneDi questa proposta ci sembra particolarmente significativa l'opera esposta al «Banco» di Massimo Minini nel 1974 e riproposta, su cartone anziché su tela, al Museo di Philadelphia (USA) in occasione della mostra «ltaly 2: art around '70», una selezionata panoramica degli artisti più interessanti in Italia degli anni Sessanta-Settanta.

A Valentino Zini hanno dedicato una cartella di grafica le Edizioni «Artestudio» di Macerata; uscita all'inizio del 1975, dal titolo Apax, racchiude una serie fra le opere esposte nel precedente anno.

L'ultima produzione sembra riaccostarsi al «figurativo», ma un figurativo filiforme, estenuato: lavori calcografici dal pochi segni entro grandi spazi bianchi.Zini, uomo silenzioso, assorbito dall'insegnamento, dall'impegno assunto in seno alla Associazione artisti bresciani, di cui da anni è il presidente, nella sua esigua produzione contrassegnata però, incisa da lunga meditazione, torna insistentemente all'uomo, al suo annientamento, rappresentato un tempo dalle 'opere metalliche, «plastiche», tradotto oggi in composizioni senza sfumature, in un silenzio avvolgente, allucinante.

Se la presenza americana rappresenta significativa tappa nella carriera artistica del nostro artefice, non vanno dimenticate tuttavia le partecipazioni a collettive in Milano («Galleria Milano», 1966), Brescia («Galleria Zen», 1968), Piacenza, Passignano, Amburgo (1968), Parma, Verona, Esseri (1969), Verona ancora (1970), Brescia («Banco», 1974).

Mostre personali ha invece allestito a Brescia («Galleria A.A.B.», 1962), Milano («Galleria Il Cenobio», 1964), Brescia («Galleria Zen», 1964), Milano («Galleria Montenapoleone», 1966), Venezia («Galleria Il Traghetto», 1966), Brescia («Galleria Zen», 1967; «Galleria Acme», 1969), Verona («Galleria Ferrari», 1970), Brescia («Studio C», 1972).

BIBLIOGRAFIA

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«Bresciaoggi», 4 gennaio 1975, Dalla cartella di Zini grafico.

 

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