ASTI GIOVANNI. Melzo, 7 gennaio 1881- Brescia, Il agosto 1954.

Giunto giovanissimo a Brescia, nella nostra città è ricordato come uomo riservato, quasi scontroso, all'apparenza, ma d'animo sensibilissimo. Frequentate le prime classi, avverte il desiderio di dedicarsi all'arte: con Francesco Gusmeri (v.) ha modo di affinare le innate doti prima di trasferisi a Torino per frequentare i corsi dell'Accademia Albertina, conclusi nel 1900 con una medaglia d'oro attribuita Il  pensiero. Ha altresì modo di avvicinare Davide Calandra (v.) e Luigi Contratti (v.) operosi nel capoluogo piemontese, mentre con Angelo Zanelli (v.) sembra aver collaborato per la realizzazione dell'Altare della Patria in Roma.Da tempo opera autonomamente, tanto che fra le sue realizzazioni si possono ricordare il busto di G. Zanardelli (Iseo 1906) la lapide dedicata al garibaldino Cesare Scaluggia e solennemente inaugurata a Cailina nel 1910, presente G. C. Abba. Della serie delle opere pubbliche val citare i monumenti ai Caduti di Pontevico, Sale Marasino, Bedizzole, Gardone Val Trompia, Filadelfia Calabra, nel tempio della memoria in città, tomba Ducci Terinelli a Chiari, (1912) composizioni tutte caratterizzate da sintesi formale raggruppante le masse definite nello spazio. Nei ritratti, nelle figure di operai, di contadini si affermano le doti di plastico immediato, del verista attento anche ai fermenti sociali e capace di espressione sintetica, di penetrazione psicologica.

Così, accanto alle lapidi, alle targhe, ai bassorilievi portati a termine per la chiesa di S. Francesco di Paola, per la ricostruita diga del Gleno, per il vecchio Ospedale possiamo ricordare i ritratti numerosi e dedicati a Clemente Dugnani, alla medaglia d'oro Cicognini, al co: Annibale Calini, agli ingegneri Togni, Cacciatore, Franchi, a Tullio Bonizzardi, al comm. Wiihrer, al notaio Perugini, ai dottori Fender, Bonera, Ranzoli, De Lucchi, all'ing. Meroni di Soncino, a G. Pastori nella Scuola agraria. Nel 1945 Asti presiedette alla riunione che ha dato vita alla Associazione "Arte e cultura", divenuta poi "Associazione artisti bresciani". Con lui, al tavolo della presidenza, erano l'ing. Crespi, il dottor Enrico Roselli, gli scultori Botta, Mondinelli, Gatti e i pittori Rava, Marengoni, Marelli, i fratelli Mozzoni, Vincenzo Pini, Piero Galanti, Bruno degl'Innocenti, Emilio Rizzi ... mentre Tom Gatti fungeva da segretario e cassiere.

Testimonianza palese della stima e della fiducia riscossa nel campo artistico, con quel "gran cuore nobilissimo entro il fisico all'apparenza fragile, tant'era alto e secco", è la simpatia emersa nel 1948 quando gli è stata dedicata una vasta retrospettiva, a celebrare il suo cinquantesimo anno di vita artistica: la mostra, allestita nelle sale della vecchia Posta, ebbe risonanza non soltanto in città. Più delle nostre parole, riteniamo chairificatore quanto di Giovanni Asti ha scritto Enrico Ragni: le sue sculture, tenute ad una lunga osservazione, aumentano la sensazione senza esaurirne il contenuto o la durata, anche quando sono di un mordente realistico. Non è perfettamente conclusa l'opera che attrae e non trattiene; un'eccitazione estetica cade di fronte al pensiero. È facile "lustrare" sulle idee estetiche premesse, mentre non lo è crearsi un linguaggio che giace nei confini dell'arte e che fissa nella plastica una concreta forma. Si osservino dello scultore Asti i numerosi ritratti degli anni Venti, Trenta e Quaranta e si troverà in essi un modellato sodo e mosso, in scoperte e interpretazioni caratteristiche sorprendenti. È tale il convincimento della possessione dell'immagine, che l'artista aggetta e scava pronunciando in esagerazioni ragionevoli i vuoti e i pieni per mettere in luce quanto è naturalmente saliente. Quando modella il corpo di una fanciulla o la testa di un bimbo non resta alla esteriorità delle facili proporzioni fini a se stesse, ma mette, tema primo, il problema vitale deI soggetto; meglio dica si dei suoi ritratti sovente amplificati nella forma.

Poco prima di spegnersi, Giovanni Asti aveva affrontato un bassorilievo (incompiuto) da collocare nella nostra stazione ferroviaria. In una pausa del lavoro, mentre affacciato al balcone di casa attendeva il ritorno della moglie, fu colto da malore. Si distese sul letto, francescanamente, si assopì sorridendo pur dilaniato dall'improvviso male.

Una via nei pressi del Quartiere Lamarmora ne tramanda il nome.

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