Quinzano d'Oglio, 19 febbraio 1879 - Roma, 1 ottobre 1972.

Di questo scultore nostro siamo riusciti ad individuare soltanto alcune tenui tracce bresciane, bastevoli però a dirlo artefice di non trascurabile personalità.

Figlio di Pietro e Serafina Griggi, dal paese natio si trasferisce a Brescia il 4 marzo 1897: ha solo diciotto anni, ma riesce a ben inserirsi nell'ambiente artistico locale. Nel 1908, in occasione del primo concorso per il Vittoriano in Roma, unitamente a Timo Bortolotti (v.) e Vitale sottoscrive una lettera di felicitazioni inviata dal pittore Mario Bettinelli ad Angelo Zanelli, risultato vincitore per l'opera decorativa dell' Altare della Patria. Dello stesso scultore benacense, Bardetti è collaboratore in Roma negli anni 1910 e 1911.

Il 28 dicembre 1918, quando vive e opera ormai nella capitale, sposa la signorina Anna Sacerdoti, di agiata famiglia, che pur di coronare il sogno d'amore col nostro scultore abiura la propria fede, venendo così diseredata.

L'ascendenza israelita, sarà per la sposa motivo di gravi amarezze. Donna di elevata virtù, dovrà altresì soffrire non poche rinunzie pur di stare accanto a chi, arso dalla fiamma dell'arte, mal si adatta alla contingente quotidianità. La lontananza dalla terra natia non impedisce a Bardetti di alimentare l'amicizia nata in giovanili anni con compagni d'arte bresciani; se Umberto Franciosi lo ha ritratto in un dipinto ancor oggi custodito in collezione privata bresciana, con la moglie sarà varie volte ospite di Giovanni Asti (v.), l'ospitalità tradotta in conforto morale e materiale per l'amico le cui difficoltà della vita pratica affiorano a più riprese. Come il 13 dicembre 1925, quando ringrazia Gabriele D'Annunzio dell'invio di denaro "in un momento di estrema necessità"; oppure il 3 luglio 1927, giorno in cui rivolge al Comandante l'eloquente "servono per l'ossigeno ... perdoni".

In questi anni ben affiora il rapporto di Giacinto Bardetti con Gabriele D'Annunzio. )ìasce /' Inno al sole, più noto come S. Francesco: la collocazione della bronzea statua nel verde del parco meditata dallo stesso autore, a fronte della stanza in cui il Poeta morrà. Il Santo assi siate eleva le braccia a formare col corpo ideale Croce, la filiforme figura dall'ampio gesto sottesa a l'intesa spiritualità del volto scavato. Di fronte a quest'opera possiamo credere a Napoleone Martinazzi quando afferma essere quel viso "il ritratto della moglie dello scultore, lei stessa confessa di aver posato per il modello in creta"; e la mente avverte la condizione esistenziale di una dolce e sensibile donna, d'un uomo capaci di rara consonanza spirituale, in essa trovando la forza di vincere la vita. Perché nel 1935 emerge ulteriore testimonianza di assillanti difficoltà materiali, gravate per di più da sofferenze fisiche.

Nel 1942 Anna Sacerdoti muore: sulla sua tomba al Verano, Giacinto Bardetti depone sublimi moti non recisi dal distacco terreno.

Ancora Gabriele D'Annunzio ha dato nome ad un piccolo bronzo custodito al Vittoriale: lo Scimmione. Accanto, con una piccola statua di S. Francesco è La Vedetta d'Italia; significativa figura di soldato ammantellato.

A Giacinto Bardetti sappiamo legati d'amicizia altri artisti: lo scultore cremonese Alceo Dossena, il bresciano Pietro Malossi (v.) che gode il privilegio di avere in Vaticano alcune opere di cesello; di questa amicizia testimoniano alcuni scritti augurali degli anni Trenta.

Custodite dai figli di Giovanni Asti altre opere possiamo citare, sono i profili di Frà Girolamo Savonarola, Nietzche, Gabriele D'Annunzio, una figuretta muliebre. Le piccole calcografie (ne esistono certamente repliche) recano l'esito di essenziale, levigata stesura ripresa nel volto di Stalin che mi si dice assai simile a maggior ritratto commissionato dall'Ambasciatore sovietico in Roma. Vivezza d'espressione e di modellato racchiude il minuscolo Autoritratto, gli sfumati contorni offerenti l'intima natura dello scultore.

Se confermato, l'interesse manifestato anche in occasione di mostre capitoline da esponenti di nobili famiglie, da principesse e regnanti, dovrebbe condurci ad altre opere, soprattutto a Brescia e Roma. Così come Scimmione veduto al Vittoriale potrebbe rappresentare una serie di animali nata dalle lunghe ore trascorse dall'autore al giardino zoologico, fino a divenire provetto "animalista".

Sofferente di cuore, Giacinto Bardetti è scomparso quando stava approssimandosi al secolo di vita. La veneranda età sembra avergli chiesto in pegno sconsolati abbandoni, e l'amarezza del sopravvenuto silenzio intorno alla sua attività creativa. Valgano queste note inadeguate ad evitare almeno lo smarrirsi nel tempo dell'opera sua.

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