Brescia, 1923. 

Dopo aver frequentato negli anni 1945 - 1953 i corsi di figura sotto la guida di Emilio Rizzi, entro il clima della Associazione artisti bresciani, ha partecipato a esposizioni in Brescia e Provincia, meritando premi e menzioni.

Pur vivendo in amicizia con Fiessi, Bruno Degl’Innocenti, si stacca dai moduli degli autori ricordati per quel sapore di affresco caratterizzante i paesaggi ritraenti umili cantucci di paese, ristretti scorci di campagna emananti intimità familiare di chi non vuole guardare lontano, pago del poco che possiede. Le figure, i ritratti, più espressione di stati d’animo che resa fisionomica, hanno luci e ombre pacate, suggeriscono sommesso colloquio. Un mondo silente che riflette l’animo sensibile dell’autore, capace soltanto di compostezza serena.

Anche nel cammino creativo successivo Romeo Bellucci conferma e approfondisce la poetica di artista sensibile che si esprime con mirabile coerenza, dal maestro Rizzi avendo acquisito non soltanto il cosiddetto “mestiere”, ma soprattutto la severa concezione dell’arte. Rigore che gli ha impedito di proporsi assiduamente sul palcoscenico delle mostre, per operare silenziosamente e che i dipinti riflettono appieno ispirati come sono dalla sua indole meditativa portata ad osservare tutto ciò che esprime umiltà, colloquio sommesso con le cose e con la natura tradotto in cromie intensamente risonanti.

Caratteri distintivi delle opere che nell’ultimo decennio hanno figurato in alcune mostre personali proposte nel Palazzo Municipale di Lonato (1 - 23 gennaio 1994), nella bresciana Galleria Schreiber (10 gennaio - 12 febbraio 1998 e 13 gennaio - 13 febbraio 2003), nella iseana La Quadra (6 marzo - 10 aprile 2004), fino all’omaggio resogli da Gussago con la antologica ordinata in Palazzo Nava nel maggio - giugno 2005. Occasione per confermare una volta ancora la capacità di Bellucci d’interpretare la natura come valore di una realtà che si carica di emozione: la visione nobilitata da eleganza formale e preziosità chiaroscurali. Quando poi lo sguardo volge alle visioni iseane tutto si intride di pulviscolo grigio sfumante in vibrazioni malinconiche. Una malinconia che pervade pure le nature morte ove si conferma la predilezione dell’autore per gli umili frutti della terra: nature morte cariche di luce viva che spaziano su sfondi di spaccati quotidiani.

Delle numerose figure, animate da affiorante intimità, si limita la segnalazione alla “Santa Cecilia” tratta da Raffaello e prodotta come “omaggio” del pittore alla gavardese “Viribus unitis” nel 1990.

BIBLIOGRAFIA

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R. LONATI, A Palazzo Nava mostra di Bellucci, “La Voce del popolo”, giugno 2005.

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