Brescia, 1891 - 3 marzo 1960.

Fece da giovane numerosi mestieri, anche il fornaio, ma la pittura è sempre stata l'aspirazione maggiormente sentita e ad essa ha sacrificato per anni quel benessere dai più ambito.

Pittore dunque, autodidatta e bohèmien giramondo, se è vero che fu a lungo operoso in Francia, Svizzera e Spagna.

Fin dal 1916 lo si nota fra gli espositori dell'Arte in famiglia; successivamente fra gli Amatori dell'arte (1920).

Sue opere sono accolte nella vasta rassegna dedicata al paesaggio italiano ordinata in Villa Alba di Gardone Riviera nell'invemo 1920-1921; partecipa ad alcune sortite con il «gruppo di artisti bresciani» alle regionali milanese e cremonese sul far degli anni Trenta; quel gruppo che per più lustri trovò in Angelo Canossi l'animatore, nel «Cantinone» l'ideale sede, in Giullo Greppi (v.) l'efficace caricaturista nel notissimo Cenone dell'artista oggi custodito dalla Pinacoteca Tosio Martinengo.

Già dalle prime apparizioni nell'ambiente artistico, Verni si distingue per il caratteristico cappello dalla amplissima tesa, per la cravatta «anarchica» indossati fino negli ultimi giorni di vita: omamento inconfondibile alla sua alta figura schizzata anche da Francesco Rovetta.

Ben presto intraprende la via delle esposizioni personali, assai numerose, fra le quali ci è possibile dire di alcune: nella sala di piano terra del notissimo Caffè Maffio (1921) espone trenta opere attestanti un «temperamento poliedrico», alcune tele dalla pennellata larga e fluida, altrove pesante e dura, altre ancora nella scia del puntinismo, di buon effetto, come ricorda un cronista dell'epoca.A Gardone Riviera (1924), a Brescia, nella Galleria Campana, negli anni 1925 e 1927; nel suo studio di via S. Reccagni al n' 3, nel 1930.

Erano gli anni in cui il pittore errabondo alternava scorribande sul laghi o in alta montagna: al Piccolo porto di Sensole si accostano visioni dei pascoli e delle nevi, al Gavia, al Pizzo del tre Camini, in Valle Camonica, in Val Sozzine... dove nacquero Trasparenze, Il nevaio, Lagonero, Disgelo... tutte impressioni «ben individuate, con finezze coloniche giuocate su ritmi sottili e soprattutto singolari pregi d'ambiente intensi e vissuti».

Del 1936 è altra mostra personale, a-Palermo, seguita da quella bresciana.

Il lungo conflitto mondiale vela l'attività di Arturo Vemi, che si riaffaccia alla ribalta artistica con evidenza in seno a manifestazioni ordinate dalla da poco nata Associazione di via Gramsci.E in questa sede nel 1948 è presente anche con una mostra personale.

Particolare interesse rivestono i dipinti esposti nel 1952 a Bergamo (Galleria Permanente) e alla A.A.B. bresciana, testimonianza dell'alluvione del Polesine, di paesi quali Arquato, S. Sisto, Facciole, Adria, Lìonello, Buso... il cui dramma, nelle interpretazioni di Verni, sembra apn'rsi a uno spiraglio di speranza per i «pregi singolarissimi di luce e di armonie di colori».

Riaffiorano anche nelle macerie e nelle estese superfici di acque limacciose le doti dell'uomo che aveva il gusto della vita, accolta giorno dopo giorno, e l'innato dono di far pittura contemplativa. «La sua popolarità ha radici in quel francescanesimo dell'arte che è la meraviglia, la scoperta, l'osservazione umilmente intesa di fronte alla natura», ha scritto Giannetto Valzelli, e per quell'amore del vero non esitava a trascorrere ore ed ore al freddo.Proprio della sua produzione val ricordare i paesaggi invernali, quelli dove la neve offre il suo profumo di fiaba, e quelli che della nebbia rendono la pungente invadenza, con i grigi sapientemente dosati che risultano morbidi effluvi, golfi di fumo.

Del suo pellegrinare, i cui esiti espone ancora a Bergamo (Galleria Roma) nel 1955, a Brescia nel 1956, resta estesa nota in innumerabili dipinti ritraenti Sera a Burano, La Giudecca, Giardino a Sirmione e Fioraie a Brescia, Nevicata a Piacenza e nelle visioni, ancora, di Paspardo, Gardone Riviera, Val Daone, dell'Eridio con i suoi limpidi profili riflessi, Cascine a Lavone, Nebbia a S. Gervasio, Piccolo Naviglio, Boniprati sotto la neve, Case sul Chiese... Né mancano alcune nature morte «con mele tizianesche e uva imprunesca» citate da Lorenzo Favero in occasione di una delle ultime apparizioni di Arturo Vemi; che, oltre a quelle su citate, altre ne fece in gallerie locali, alla A.A.B., alla Galleria Vittoria, alla Loggetta, al Gamberino.

Ancora stava per inaugurare una nuova personale quando è spirato, dopo il ricovero alla Poliambulanza, alle soglie di una primavera che per lui non ha rinnovato trasparenze di luce.

Il rimpianto suscitato dalla scomparsa dell'Artista resta fissato nel numerosi cenni di necrologio, nelle ripetute mostre postume, purtroppo sempre frammentarie e pertanto inadeguate a dime il giusto valore; tanto più che Verni, fra le opere oleograficamente piacevoli, va cercato nel brani di natura silente e malinconica cui seppe carpire la «fragranza»; attorno a un declivio in fiore, nel grembo di una valletta, nei riflessi di uno specchio d'acqua, nei tetti di una contrada... con l'odore casto-algido e tepido insieme delle nevi che si sfanno al vento di primavera...

 

 

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