Dizionario dei Pittori Bresciani
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FILIPPINI FRANCESCO

Brescia, 18 settembre 1853 - Milano, 6 marzo 1895.

Anche se non esente da inesattezze, il “Saggio su Francesco Filippini” redatto da Giorgio Nicodemi ha rappresentato per più decenni il più completo documento sul grande e infelice nostro pittore.
Nato da umile famiglia, deve affrontare umili attività per soddisfare necessità contingenti; ciò non di meno trova modo di dedicarsi al disegno e dipingere. Nel 1870, alfine, può iscriversi alla scuola comunale di disegno presso la Pinacoteca, sotto la guida di Giuseppe Ariassi. In quelle sale si avvi-cina a G.B. Ferrari, Eugenio Amus, Faustini, Luigi Campini, Glisenti, Venturi e si unisce di profonda amicizia a Luigi Lombardi, con il quale dividerà ansie e le poche brevi gioie del periodo milanese di quest’ultimo.
Già sono stati ripetutamente ricordati i sussidi meritati dai due giovani, sia in Brescia che a Milano quando, allievi a Brera sotto Giuseppe Bertini, si spartirono i denari del premi vinti; già sono noti anche i periodi trascorsi dal Filippini a Gardone V.T. e le sue brevi apparizioni in Brescia: nel 1876 si aggiudica il Legato Brozzoni con uno studio di nudo. Con Luca Beltrami nel 1879 si reca a Parigi, ma quel viaggio sembra non riverberarsi nelle sue opere, mentre egli si sente più vicino ai pittori operosi a Milano, in particolare Gignous, Gola, Venturi, Tallone, Bianchi e quel Mentessi maestro a non pochi bresciani e, negli ultimi anni di vita, assiduo a Fasano del Garda.
Altresì noto il giudizio negativo di Faustini per il dipinto Fulvia che svela a Cicerone la congiura di Catilina, presentato nel concorso per la pensione di perfezionamento: amarezza in parte compen-sata dal contributo offerto dal Municipio bresciano e la vincita della pensione triennale con La cella del Beato Angelico, (1880).
E’ l’avvio alla partecipazione a importanti manifestazioni, soprattutto a Brera, e la frenetica applica-zione trova riconoscimento nei Premi Canonica (1889) e Mylius (1890).
Tale febbrile fervore è tuttavia ben presto troncato dalla morte, quando le aspettative di insigni scrittori d’arte parevano trovare riscontro nelle opere del Filippini. Opere che, meditate sul vero, avevano accostato l’artista bresciano al gruppo “detto della nuova scuola”, accanto a Mose’ Bianchi, Carcano, Bozzano e Gola. Opere in cui, oltre ai motivi composti per i giovanili concorsi, si eviden-ziano l’ansia di rinnovamento e la singolare personalità dell’autore.
Maggiormente note sono le opere legate alla montagna, “una montagna dimessa, rustica, non ve-stita a festa, di verde smeraldo o di bianco sfolgorante; il più delle volte vestita del saio invernale o autunnale: e su tutto l’aria argentea, le ombre scure, umide della sera, del crepuscolo imminente”.
Una struggente malinconia, riflesso alla infelicità che certo accompagnò il pittore per la parte mag-giore della breve esistenza.
Non meno meritevoli di ammirazione, tuttavia, le lagune e i ritratti, ad attestare che l’arte di Filippi-ni “è di una verità genuina che non è di nessuna scuola”.
A dire la crescente considerazione riservata all’opera dello sfortunato artista sono le proposte di suoi dipinti a manifestazioni dedicate all’Ottocento pittorico regionale e nazionale, i repertori di nu-merosi Musei e Pinacoteche, ma anche di note raccolte private, i cataloghi di prestigiose Case d’as-te, oltre che saggi specifici o articoli sparsi in quotidiani e periodici non solo locali…
Un pluridecennale percorso conoscitivo approdato nella grande mostra “Francesco Filippini, un protagonista del naturalismo lombardo” ordinata nel Museo di Santa Giulia a cura di Vasco Frati dal 12 dicembre 1999 al 19 marzo 2000.
L’evento ha propiziato la catalogazione “ragionata” di circa 280 opere, 70 delle quali esposte, e di rivisitare personalità artistiche bresciane attive fra il 1860 e il 1900, poste a confronto con i più si-gnificativi artefici nazionali.
Ben a ragione Bruno Passamani ha additato nei dipinti del nostro artista il predominante grigio che è tanto nelle nebbie padane, ma anche domina la pittura fin dal Cinquecento… da questa tradizione Filippini ha distillato la sua arte più autentica, che gli dà diritto a un posto di primo piano nella pit-tura del nostro Ottocento.
Brescia si è riappropriata del proprio figlio artista richiedendone le spoglie mortali, da Milano tra-dotte nel monumentale cimitero Vantiniano.
Recentissima l’acquisizione di tre ritrattini ad acquarello ritraenti Carlotta Sacchetti, allieva milanese del pittore, eseguiti nel volgere di pochi giorni nel 1894. Passati nella raccolta di un funzionario tra-sferito a Roma, li ha ricuperati Luigi Mella, conduttore della Galleria Le Loggette di Villanuova. Ne ha dato notizia Luciano Anelli nella rivista “STILE Arte” dell’ottobre 2005, anticipando la riproduzio-ne dei tre dipinti nel catalogo della galleria Le Loggette in preparazione. Unitamente a quello di pri-vata collezione di Bagnolo Mella, sono i soli acquarelli noti che Francesco Filippini ha prodotto.
 
BIBLIOGRAFIA
Sta in: V. PRATI (a cura di), “Francesco Filippini. Un protagonista del naturalismo lombar-do”, Brescia, Museo di Santa Giulia, 12 dicembre 1999 - 19 marzo 2000.
Si veda inoltre: T. DEL DRAGO, Francesco Filippini nel lungo e sofferto cono della monta-gna sacra, “STILE”, n. 0, dicembre 1995.
M. BERNARDELLI CURUZ (a cura di), Filippini, quando il paesaggio vira al crepuscolo, “STILE Arte” n. 34, dicembre 1999.
R. FERRARI, “Francesco Filippini e la pittura bresciana dell’Ottocento”, Brescia, AAB, 18 di-cembre 1999 - 19 gennaio 2000.
A.L. RONCHI, Filippini e Lombardi, Bertolotti e Soldini, i gemelli avversari dell’Ottocento bresciano, “STILE Arte” n. 39, giugno 2000.
AA. VV., Francesco Filippini, “STILE Arte” n. 86, marzo 2005 (dossier).
 

FILIPPINI GERMANO

Montichiari, 1951.

Autodidatta, Germano Filippini ha saputo attingere nell’ambito familiare gli stimoli per orientarsi ad autonoma ricerca pittorica. Che lo ha portato sentimentalmente, prima ancora che formalmente, ad aderire alla tradizione naturalistica lombarda di fine Ottocento, in particolare all’opera di uno dei maggiori interpreti bresciani: Francesco Filippini.
Ha così trasferito nell’arte il fremito di un nostalgico ritorno alla natura e ai ritmi autentici di una vita semplice, contadina, agreste, appartenente al ricordo.
Pertanto nel suo repertorio figurativo non mancano soggetti del genere paesaggistico, montani, di-stese campestri animate da svelte figurette di contadini intenti al lavoro, colti in momenti di pausa, ed ancora contrade sulle quali si affacciano casolari antichi dalle pietrose pareti intepidite dal sole primaverile o intrise dell’algido candore invernale. Dipinti tutti evocanti non solo iconograficamente i capolavori del sommo Filippini.
Attuando una costante, appassionata applicazione alle tecniche dell’olio e del pastello, l’artista monteclarense ha sviluppato la sua capacità di espressione e mediante tocco che sa di impressioni-smo riesce a rendere protagonista del dipinto non solo i soggetti naturali, ma anche la luce che in-tride superfici cromatiche, evidenziando ogni più lieve vibrazione tonale.
Appartengono alla produzione di Germano Filippini pure vari ritratti nei quali è ravvisabile la ricerca di una verità fisionomica che non attenua la resa introspettiva.
Presente a varie mostre collettive, noti concorsi provinciali e regionali, l’artista ha prodotte pure delle personali, l’ultima delle quali dal 29 ottobre al 30 novembre 2005 nella Galleria “La Loggetta” di Villanuova sul Clisi, depositaria permanente dei suoi dipinti.
BIBLIOGRAFIA
G. GALLI, Sentimento, luce, colore, “STILE Arte” n. 92, ottobre 2005.
Ulteriori note riguardanti Germano Filippini sono in “STILE Arte” n. 49, giugno 2001; n. 51, settembre 2001; n. 52, ottobre 2001; n. 53, novembre 2001.
 

FILIPPINI GIACINTO

(Giaci). Ghedi, 28 gennaio 1925 - Brescia, 15 marzo 1984.

Professore di educazione fisica, dapprima presente a mostre collettive in provincia, nel 1975 alla rassegna “Artisti del nostro tempo” in Milano, ha allestito mostre personali a Crema (1971); Vicenza (1975); Brescia (1974 - 5 - 6).
Autodidatta, anche se giunto piuttosto tardi alle esposizioni, fin dalle sue prime apparizioni in pub-blico ha palesato coerente visione, accostandosi al paesaggio con l’intento di interpretarlo lirica-mente, a mezzo di sommessi colori, fino a sfiorare sovente il tono monocromo.
Ma anche un piccolo mazzo di fiori, oltre che un prato alberato o un angolo di lago (il Garda in par-ticolare) si imbeve di effusa luminosità. Luce che tutto sfiora: quasi un timido approccio dell’occhio con la natura e con il frutto soave della natura, tramutati in soffio lieve, in palpito d’anima.
Lilloni, Guidi: sono i nomi ricorrenti nei testi dedicati ai dipinti di Filippini: il riferimento formale può anche essere accolto, almeno per tentare la collocazione della sua pittura entro il filone chiarista. Ma intimamente personale, frutto di insistita ricerca ci appare quella luce avvolgente, lieve che con-suma masse e profili, fino a donarci, della natura e delle cose, solo la loro essenza: chiara, serena.
Il nome di Filippini, nonostante il breve curriculum espositivo, figura in noti cataloghi e nella “Enciclopedia nazionale degli Artisti”, edita da Bugatti, in Ancona, nel 1976. Anno dopo il quale il pittore ghedese non ha più esposto, pur continuando a dipingere.
 
BIBLIOGRAFIA
A. BONISOLI, “Galleria del libro”, Crema, 2 - 15 dicembre 1971.
“Galleria Arengo”, Brescia, 16 - 28 novembre 1974.
L. SPIAZZI, Arte in città, “Bresciaoggi”, 23 novembre 1974.
G. S.(tella), Arte, “La Voce del popolo”, 29 novembre 1974.
G. NASILLO, G. Filippini, “Il Narciso”, novembre-dicembre 1974.
A. MORUCCI - A. PERINI, “Galleria Bramante”, Vicenza, 11 - 20 marzo 1975.
S. BENCIVENGA, Colore come ricordo in G. Filippini, “Il Miliardo”, 3 aprile 1975.
AA. VV., “Galleria L’Araldo”, Brescia, ottobre 1975.
L. SPIAZZI, Arte in città, “Bresciaoggi”, s.d., (ottobre 1975).
A. MORUCCI, Galleria d’arte, “Biesse”, a. XVI, n. 174, novembre 1975.
“Art. Mondial Gallery”, Milano, 3 - 16 novembre 1975 (Collettiva).
S. BENCIVENGA, “Galleria C. Cattaneo”, Brescia, 23 ottobre - 6 novembre 1976.
L. SPIAZZI, Arte in città, “Bresciaoggi”, 30 ottobre 1976.
G. S.(tella), Arte, “La Voce del popolo”, novembre 1976.
R. LONATI, “Dizionario dei pittori bresciani”, Giorgio Zanolli Editore, 1984.

FILIPPINI GIACOMO

Nato a Brescia, Giacomo Filippini è cresciuto a stretto contatto con le delizie dell’arte, partendo dal laboratorio del padre, nella storica pasticceria di Brescia e proseguendo nel laboratorio della madre, Giuliana Geronazzo, nota artista bresciana. Un punto di osservazione privilegiato, il suo, tra salotti e atelier, in cui ha potuto conoscere, fin da piccolo, i movimenti culturali e le personalità che hanno costruito la storia dell’arte contemporanea bresciana. E’ proprio nel laVoratorio di Via Quinzano che Giacomo muove i primi passi, costruendo le sue prime opere in vetro. Nel tempo sperimenta diverse tecniche, tra cui le ceramiche e il raku. Infine, il colpo di fulmine: il ferro. Dapprima è il ferro abbinato al vetro. La forza del ferro contrapposto a quanto di più fragile esista in natura affascina Giacomo. L’antitesi è la sintesi di queste opere: l’energia contrapposta alla delicatezza, il metallo che non lascia passare la luce contro la trasparenza cristallina, il nero si oppone ai colori con cui il vetro viene dipinto. Con la maturità Giacomo si accosta sempre più ad un uso esclusivo del ferro, che oggi costituisce la parte più corposa della sua produzione e lo contraddistingue nel panorama artistico contemporaneo.

FILIPPINI GIAN FRANCO

 v. Facchini Gian Franco.

FILIPPINI PIETRO

Brescia, 1790 - 6 aprile 1869.

Dopo avere studiato a Firenze con il Bezzuoli, tornato a Brescia si fece conoscere e apprezzare esponendo alcuni suoi dipinti.
Mosaicista sopra stucco e intarsiatore, tanto che suoi tavoli scolpiti presero la via dell’estero, esplicò anche attività di restauratore di dipinti antichi, fra i quali il Fenaroli annovera la tavola del Beato Angelico esistente nella chiesa di S. Alessandro.
Ma la maggiore fama gli deriva dall’arte litografica che egli praticò fra i primi, consentendo di tra-mandare ai posteri non poche visioni della Brescia ottocentesca quali: La chiesa di S. Chiara e il Ca-stello, Contrada del Carmine, Brescia alla metà del XIX secolo, Porto di Toscolano, Cartiera della valle di Toscolano e altre, nate dalla collaborazione con Giacomo Soldi (v), riprodotte ancor oggi in cartoline e calendari artistici.
Opere di Pietro Filippini figurarono alla mostra dedicata alla pittura bresciana dell’Ottocento ordi-nata nel 1934.
Socio corrispondente dell’Ateneo, in quella sede presentò in varie occasioni suoi lavori e ritratti (V.  Monti, G. Bossi, G.B. Corniani) nonché opere a tema sacro.
Sua è una rinomata scuola litografica, la cui tecnica operativa espose, con il fratello Donato, in un saggio pubblicato nel 1831 nei Commentari dell’Ateneo.
 
BIBLIOGRAFIA
Sta in: R. LONATI, “Dizionario degli incisori bresciani”, Brescia, 1994.
Si veda inoltre: R. LONATI, A Brescia un pioniere della litografia, “STILE Arte” n. 61, set-tembre 2002.
 

FILIPPINI REGY

Pralboino, sec. XX.

Autodidatta, ha esposto per la prima volta a Brescia in personale nel 1970, avendo però all’attivo contatti con il pubblico di vari concorsi provinciali, quali il Premio Collio, e presenze a Parigi, presso la “Galleria Duncan” e a Francoforte, dove collezioni posseggono sue opere.
“Pittura grumosa, ruvida, quella di Regy Filippini, bruni, rossi, cotti, grigi come croste seccate dal tempo, a ricomporre case e stradette volutamente grevi: oppure fasci di fiori come covoni e mucchi d’erba, pesanti come pesano le braccia quando strappano alla terra i suoi frutti” (L. Spiazzi); ne sorte un mondo raccolto, silente, quasi primitivo, ove il colore macerato è posto sulla tela con “la volontà di essere, di quel mondo, interprete lucido e sincero”.
Paesaggi squadrati di borghi, di rustici angoli in cui la luce quasi improvvisa par discoprire per un attimo solo la umiltà, la decrepitezza di quelle mura; e i fiori, le nature morte a dire di una umanità la cui esistenza s’avverte soltanto per l’alitare greve d’un respiro, fra quelle inanimate cose, fra quei campagnoli colori, ad animarli.
Presentava la prima mostra personale bresciana, alla A.A.B., Alberto Morucci (dicembre 1970).
 
BIBLIOGRAFIA
R. LONATI, “Dizionario dei pittori bresciani”, Giorgio Zanolli Editore, 1984.

FILIPPO DA CREMONA

.v. FILIPPO DA SORESINA

FILIPPO DA SORESINA

Secoli XV - XVI.

Famoso intarsiatore operò anche come intagliatore. È forse da identificare con Filippo da Cremona o Filippo dal Sacco, maestro di tarsia.

A Filippo da Cremona nel 1488 veniva commessa una porta di palazzo Sanseverino di Parma; a Brescia, dove opera da quell'anno, nel 1490 lavora alla porta della chiesa di S. Maria delle Grazie, nel 1501 per ordine di Giovanni Taberi costruisce la cattedra nel salone di palazzo Loggia.

Ma l'opera che più sicuramente indica Filippo da Soresina notevolissimo artista è il complesso delle trentuno tarsie della sagrestia di S. Francesco composto e firmato fra il 1509 e il 1511.

Morto nel 1520 circa, lasciò un fratello, Giovanni Antonio (v.) operante, secondo Stefano Fenaroli, nel 1522 al coro di S. Maria De Dom in qualità di semplice falegname.

FILIPPO JACOPO DA BRESCIA

.v. Jacopo Filippo da Brescia.

  1. FIORINI DOMENICO
  2. FIORINI GIOVANNI
  3. FIRMO ARTURO
  4. FLORIO PUPA

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