Venezia, 1709 - 1769.
Si accenna soltanto l’opera di questo pittore, veneziano allievo di Sebastiano Ricci e influenzato dal Tiepolo, perché autore fra noi di opere d’un certo significato: un ex voto per la chiesetta del Patro-cinio (a cui hanno dedicato ultimamente attenzione A. Fappani e C. Boselli); operoso nel palazzo Martinengo di Pademello (ora Salvadego) a decorazioni perdute durante l’ultimo conflitto, nelle note chiese di S. Carlino e di S. Agata.
La sua arte ebbe inoltre riflesso nell’opera di Santo Cattaneo e Piero Scalvini.
BIBLIOGRAFIA
R. LONATI, “Dizionario dei pittori bresciani”, Giorgio Zanolli Editore, 1984.
Secolo XVI.
Nipote del sommo Vincenzo e suo allievo, è stato a lungo ritenuto, accanto a Paolo da Cailina gio-vane, autore del ciclo di affreschi esistente nella chiesa della Disciplina di Remedello; ciclo che un atto presso la Fondazione Da Corno, in Lonato, dà a Lamberto De Rossi (v.) fissandone anche l’anno di esecuzione al 1577.
E’ quanto si apprende dalla “Storia di Brescia”.
BIBLIOGRAFIA
R. LONATI, “Dizionario dei pittori bresciani”, Giorgio Zanolli Editore, 1984.
Bagnolo Mella, 1427/1430 - Brescia 1515/1516.
“Appartiene a quella generazione di animosi (il Mantegna anzitutto, il Tura e poi Gentile e Giovanni Bellini, Antonio Rizzo e Cristoforo Mantegazza) che, tra il 1450 e il ‘60 furono pionieri, nell’Italia settentrionale, del più ardito gusto rinascimentale”.
Quest’affermazione di E. Arslan che introduce alla parte della “Storia di Brescia” dedicata a Vincen-zo Foppa, già dice il livello a cui seppe giungere il nostro pittore concordemente ritenuto il capo-scuola del Rinascimento lombardo.
Qui ci si deve limitare a tratteggiare il percorso artistico che, dalle giovanili derivazioni dalla transa-zione e bembesche, lo porterà a personale e alta espressione; tanto che al ritorno a Brescia, il con-siglio gli decreta stipendio annuo perché più si allontani. E a Brescia sarà anche maestro in scuola pubblica di pittura e architettura. Forse egli stesso intagliatore, attraverso l’arte sua spargerà qual-che influsso sulla scultura lignea.
La sua prima opera certa è del 1456: i Tre Crocifissi della Pinacoteca bergamasca, già un “pensiero che, fino alle più tarde opere, gli sarà caro: dettato costantemente dall’intento di creare, attraverso forme ispirate a volumetrie rinascimentali, uno spazio architettonico che dia respiro e corpo alle fi-gure e profondità alla scena”, così come l’affermarsi precoce del problema della luce, non ignorato dal Caravaggio.
Perduta la tavoletta raffigurante la Madonna col Bambino e un libro, sono da ricordare le altre due tavolette coi SS. Teodoro e Agostino di museo milanese, derivanti forse dal polittico eseguito per il Carmine di Pavia nel 1462.
Si è ormai alla maturità della forma di Vincenzo Foppa; se già aveva operato nel Duomo di Milano affrontando una vetrata coi temi del Nuovo Testamento; se già, anche se scarsamente documen-tato, aveva operato a Pavia, ed a Genova si era cimentato (per tornarvi in epoca successiva) con la volta del Duomo dove altresì decora la cappella dedicata a S. Giovanni Battista (della quale però nulla resta), proprio allora Francesco Sforza lo impegna in importanti lavori.
Il nome dell’artista deve correre fra gli appassionati e i mecenati se il Filarete lo annovera fra i massimi di quel periodo.
Lavora per il Banco Medico a Milano (1462-1464). Per dipinti oggi custoditi in collezioni londinesi, di Berlino, nell’Art Museum di Denver, perviene a realizzare la Madonna del libro milanese, conside-rata il suo capolavoro di quegli anni.
A Pavia riappare nel 1465 per dipinti nella Certosa; Monza poi, quindi la Cappella Portinari in S. Eu-storgio di Milano, altra vetta pittorica, tanto che gli storici dell’arte non esitano ad affermare che “Foppa, più vecchio del padovano, pervenne a risultato certamente più moderno del Mantegna”.
Ma altre opere occorre almeno citare fra le numerose custodie nei civici Musei di Milano, Bergamo, Pavia, Savona, Releigh (North Carolina), Correr di Venezia, Metropol Museum di New York, la Na-tional Gallery di Londra, a Detroit o in raccolte italiane e straniere private; per finire con la Pinaco-teca bresciana dove si trova anche lo Stendardo di Orzinuovi; la Natività nella vecchia parrocchiale di Chiesanuova e la Vergine, attribuitagli da pochi anni da Gaetano Panazza, nella chiesetta detta dei Borra, nel pressi di via Oberdan. Proprio di questa sacra immagine, la Madonna della collezione Johnson di Philadelfia sarebbe copia.
Occasione preziosa per approfondire l’opera di Vincenzo Foppa e proporne collocazione nel tempo in cui l’artista ha operato, è stata la mostra “Vincenzo Foppa. Un protagonista del Rinascimento” che Brescia ha voluto dedicargli, riunendo non pochi capolavori nel Museo di Santa Giulia dal 3 marzo al 29 giugno 2002.
L’evento è riflesso nel catalogo curato da Giovanni Agosti che si è avvalso della collaborazione di autorevoli studiosi (M. Natale e G. Romano).
La rassegna ha sostanzialmente confermato quanto del tragitto esistenziale del Foppa era noto. Ha invece posto accento particolare sul “grigio”, colore su cui si è puntato per attuare l’allestimento della rassegna, attribuendo a quella tonalità la possibilità di dare vita a una dimensione che pone in risalto cose molto umili. E che troverà accoglienza nelle suggestioni morettesche, nella pittura bre-sciana del Cinquecento, e capace di annodare Foppa a Caravaggio.
BIBLIOGRAFIA
Sta in: G. AGOSTI, AA. VV., “Vincenzo Foppa. Un protagonista del Rinascimento”, Brescia, Museo di Santa Giulia, 3 marzo - 29 giugno 2002, Stampa, Milano, 2003.
Si veda inoltre: GIO. CA., Oro e cognizione del dolore, “AB” n. 70, primavera 2002.
Vincenzo Foppa, l’uomo d’oro, “STILE Arte” n. 56, marzo 2002.
Secolo XVII.
Lo Zani lo dice operoso nel 1603, notizia ripresa dal Fenaroli senza tuttavia ulteriori dati. (“Dizionario”, p. 308).
BIBLIOGRAFIA
R. LONATI, “Dizionario dei pittori bresciani”, Giorgio Zanolli Editore, 1984.
q.m GIOVITA. Secolo XVI.
Il Fenaroli (“Dizionario”, p. 308), lo dice nato nel 1550, notizia desunta dalla polizza d’estimo n. 124 del 1568 della quadra di città vecchia.
BIBLIOGRAFIA
R. LONATI, “Dizionario dei pittori bresciani”, Giorgio Zanolli Editore, 1984.
Brescia, 25 agosto 1810 - 26 luglio 1855.
Scultore prevalentemente in legno, per le spiccate doti fu ammesso alla Scuola di disegno e ne frequentò i corsi sotto la guida del prof. Giovanni Cherubini.
Entrato a far parte dello studio dell'arch. Rodolfo Vantini, apprese la tecnica della plastica e della decorazione acquisendo profonda conoscenza dei vari stili. Apprezzato dall'arch. Donegani, lascia esiti di interventi nei motivi ornamentali di vari edifici, fra i quali sono ricordati i palazzi Tosio, Valotti, Bellotti e Facchi in città; nella villa Frizzoni di Como, in altro palazzo della stessa famiglia a Bergamo.
Ha modellato gli ornati dell'altare della parrocchiale di Pralboino, fusi poi in bronzo e giudicati "lavoro magnifico".
Giuseppe Foresti è morto a soli quarantacinque anni, durante l'epidemia di colera.
Gerolanuova.
Ha iniziato giovanissima a esprimersi con il colore, e nel tempo oltre alla tecnica ad olio su tela ha appreso a far della seta e del lino prevalente supporto alla materia pittorica.
Presente a mostre collettive provinciali dal 1965, nel suo fare è stata ravvisata “una ricerca ideale che ha mosso l’attenzione da diverso tempo”.
Dotata dell’immensa passione per la natura si propone di tradurne ogni respiro, ogni sfumatura. Testimonianza che si concretizza non solo negli scorci paesistici, ma anche nella fragranza di un mazzo di fiori disposto in vaso.
Azzurro, giallino, le terre sono i colori prevalenti di una tavolozza che il pennello anima di immagini vibranti di accordi melodiosi. Così è per Ninfee, soggetto più volte ripetuto; così è per Girasoli ri-creati nella loro splendente fioritura. Ma così è anche per le floride composizioni coniuganti frutti, i più diversi, e vasi di coccio. Né mancano nella produzione di Marisa Foresti varie figure, Cristo in particolare, al quale la pittrice confida devozione con semplicità ed evidente spontaneità.
BIBLIOGRAFIA
AA. VV., “L’Arte lombarda in Valcamonica alle soglie del terzo millennio”, Pisogne, Galleria La Tavolozza, 2000.
Salò, 1933.
Ha studiato alla Accademia B.A. di Brera a Milano. Poco più che ventenne (1956) già si evidenze in manifestazioni provinciali, fra le quali la rassegna Orceana; già nel 1958 è nell’esiguo gruppo di giovani bresciani scelti dalla “Galleria Alberti” per esprimere esiti di sicuro avvenire.
Poco oltre Mario de Micheli ne sottolinea la matura personalità in occasione di sua presenza nella milanese “Galleria S. Fedele”; ed a Milano Forgioli si trasferisce definitivamente negli anni Sessanta.
Da quel tempo numerose le partecipazioni a collettive di rilievo; le personali introdotte e recensite dal più noti scrittori d’arte, ricordati nella bibliografia.
Fra i riconoscimenti certo maggiormente graditi, l’invito della Biennale veneziana ad esporre sue opere oltre Oceano, nel 1971, e la recente sua presenza nell’Esposizione internazionale della città lagunare (1980).
Uomo attento, oltre che artista sensibile, nella pittura ha fin dagli esordi affrontato assillanti pro-blemi della contemporaneità, fino nel più recesso loro manifestarsi e il manifestarsi di una violenza più morale che fisica. Ciò avviene e si esteriorizza attraverso un apparente dissidio tra forma e contenuto: forma “gradevole, cromaticamente fragrante e liricamente felice”, ma a ben osservare i colori agiscono con una loro particolare acidità. emergono dissonanze, prendono corpo oggetti e animali tragicamente offesi, che cercano rifugio o letto di morte in un angolo di paesaggio pun-gente, ostile.
Forgioli mai ha abbandonato la sua espressività, ma l’ha approfondita e i suoi paesaggi, i suoi brani di natura offerti in maniera così accattivante cromaticamente, si rilevano poi “aggrovigliati di dram-matica interiorità”.
Questa “ambivalenza” a giudizio del critici (e sono essi Kaisserlian, De Micheli, Roberto Tassi…) ha fatto di Forgioli uno degli artisti più originali non soltanto dell’area milanese e lombarda.
Attraverso gli animali sanguinanti, morenti, il paesaggio, gli oggetti ricreati con le loro intime fibre, il pittore “compie una ricognizione nel presente” assimilando in unica matrice i vari temi affrontati e sentiti con ansietà, angoscia.
La drammaticità del presente è da lui additata nella scia della pop art, ma con una “originalità che lo pone fuori d’ogni possibile definizione e scuola”.
Val ricordare che Salò, sua città natale, proprio sul finire del 1980 ha voluto ospitare una antologia di suoi dipinti, affiancati a quelli di altro artista, Antonio Stagnoli, che operando con estrema ten-sione è giunto a esiti non meno apprezzabili.
Prendendo le mosse proprio da questa mostra salodiana è possibile individuare il successivo intenso percorso espositivo di Attilio Forgioli, presente con mostre personali al Museo Butti di Viggiù (1984), a Palazzo Robellini di Acqui Terme (1987), in Palazzo Coen di Salò (1988), nel Castello di Sartirana Lomellina (1988), nella Galleria civica di Modena (1990), a Palazzo Sarcinelli di Conegliano (1992), in Palazzo d’Adda di Varallo (1996), in Palazzzo Milo di Trapani (1999), nella Casa dei Car-raresi di Treviso (2000)…
Intenso il tracciato delle partecipazioni a mostre tematiche e a rassegne collettive che pongono sue opere accanto a quelle di significativi artefici nazionali. Invitato nel 1982 a Parma, lo è pure a Mila-no nel 1983, anno in cui si propone anche ad Arezzo; Mantova lo accoglie nel 1985, così Salò, dove sue matite entrano a far parte della Civica raccolta del disegno.
Nel 1986 figura alla Quadriennale di Roma, l’anno successivo alla Biennale Nazionale di Milano, ma-nifestazione che lo seleziona pure nel 1993.
Parma e Conegliano sono le tappe toccate nel 1991, a Conegliano fa ritorno nel 1995, 97 e a Salò ed ancora Conegliano negli anni 1998 e 1999.
Del 2000 la particolare adesione per decorare una delle quattordici santelle componenti la Via Lucis che a Salò, attraverso la via Panoramica, s’inoltra nell’entroterra collinare. Fra gli altri autori si ri-cordano Giuseppe Rivadossi, Franca Ghitti, Antonio Stagnoli, Giuseppe De Lucia, Giulio Mottinelli, attestanti l’alto livello della selezione, annoverante anche alcuni artefici stranieri.
Anche Brescia ha accolto ripetute mostre personali, presso la Nuova città di Alberto Valerio, nel febbraio-marzo 1984, maggio-giugno 1993, febbraio-marzo 1999.
BIBLIOGRAFIA
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F. LORENZI, “Via Lucis. Un percorso artistico-religioso per il Giubileo del 2000 a Salò”, Sa-lò, 2001.
Nota: non potendo essere maggiormente precisi si segnalano inoltre scritti di: Z. Birolli, 1967; R. Guttuso, 1969; L. Borgese, “Corriere della sera”, s.d. (1969) E. Crispolti, F. Rus-soli, dei quali ci ha dato comunicazione orale lo stesso pittore.
Palazzolo, 16 dicembre 1941.
Autodidatta, la sua fondamentale esperienza deriva dal soggiorno parigino degli anni Sessanta. Pe-riodo in cui ha potuto colmare lo sguardo dei capolavori francesi e della visione del mondo che in quella città lo attorniava e del quale colse aspetti nelle tele.
Partito da toni che richiamavano l’affresco, quasi monocromi, Formenti via via ha dato vita a dipinti in cui la gamma cromatica accesa si fa materia, massa in un ordito echeggiante il fauvismo e l’im-pressionismo.
Di suo, l’autore vi mette “una limpidezza e una allegria luministica che ben lo differenziano dai maestri francesi”.
Come per molti artisti palazzolesi, l’attività espositiva di Formenti si divide fra Brescia e Bergamo e le loro province. E’ così presente, dal 1969, in collettive a Palazzolo, Rudiano, Bergamo, Lumezza-ne, Brescia; allestisce personali a Bergamo, Paratico, Zinconia, Palazzolo, Desenzano, Brescia, Sa-mico, Lovere, spingendosi inoltre fino a Milano, Sorrento.
Componente del Gruppo E di Palazzolo, alcune sue apparizioni in pubblico sono avvenute in conco-mitanza di collettive ordinate dal sodalizio avente sede nel “Castello”.
Le Gallerie d’Arte Labus e La Roggia di Palazzolo si sono prestate quali prevalenti centri d’incontro delle opere di Primo Formenti con il pubblico, un itinerario esteso via via ad altre sedi espositive come la milanese Borgogna, la Fumagalli di Bergamo promuoventi la proposta estesa al Belgio, alla Germania e all’America dove un dipinto dell’artista entra nelle collezioni del Moma newyorkese.
Per ammissione dello stesso autore, l’ottanta per cento delle sue creazioni trova collocazione oltre confine anche quando, tralasciata la tecnica a olio, ha affrontato la pratica dell’affresco, mediato però dall’uso di materiali dell’avanguardia, come il cemento su cui stendere, quando è ancora umi-do, pigmenti e terre naturali ravvivati dall’uso acquoso di acrilici: non una cromia dominante, se non all’interno della composizione, in cui il colore puro sta a simboleggiare l’alito del sentimento. Un procedere che lo induce a equilibrati rapporti dominati dal colore oggetto e materia.
Negli anni 1987-1996 la sua esperienza s’avvalora per l’adesione al Gruppo “Disarmonie espressio-niste” fondato da Daniela Palazzoli e Giovanni Repossi. È il tempo dei lavori riuniti sotto il titolo di “Racconti” che precedono i cicli tematici, essenzialmente astratti, di “Giocando”, “Donne”, “Manifesti immaginari” e “Rapporti”, resi con l’applicazione di forme plastiche in legno dipinto, l’evidente struttura geometrica ravvivata dall’impasto cromatico denso, ma al contempo sfumato, quasi evanescente.
Emerge così con sempre maggiore chiarezza la propensione di Formenti a dar vita a “creazioni” che si misurano col sociale e che pur non cancellando le dimensioni del figurativo, si fanno sempre più allusive, fino alla perdita di una riconoscibilità diretta del soggetto rappresentato, per esaltarne la sola essenza.
L’ansia di sempre nuova ricerca ha spinto Formenti a misurarsi pure con la ceramica, ed a Faenza ha conosciuto il Direttore della Biennale faentina e Vittorio Sgarbi; per soddisfare un loro desiderio ha fatto dono di una sua opera al Museo della ceramica.
Recentissima l’installazione di manufatti in vetro ispirati al caffè ed esposti nel Florian di Venezia, e che la “Marco Polo” di Murano si è prestata per favorire la diffusione.
L’intenso lavoro ha propiziato ambito riconoscimento che Primo Formenti ha riscosso nel giugno 2004 in occasione del milanese “Premio delle arti”.
BIBLIOGRAFIA
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E. C. S.(alvi), Mostra d’arte, “Giornale di Brescia”, 29 gennaio 1978.
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L. SPIAZZI, Arte in città, “Bresciaoggi”, 23 dicembre 1978.
“Galleria La Comice”, Desenzano, 10-22 novembre 1979 (Con elenco delle mostre).
L. SPIAZZI, Giro dell’arte, “Bresciaoggi”, 17 novembre 1979.
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L. SPIAZZI, Giro dell’arte, “Bresciaoggi”, 21 giugno 1980.
“Arte bresciana oggi”, Sardini Ed., Bornato.
“Formenti”, Brescia, Galleria Labus, 13 aprile - 15 maggio 1981.
R. LONATI, “Dizionario dei pittori bresciani”, Giorgio Zanolli Editore, 1984.
G. SEVESO, “Primo Formenti opere materiche”, Brescia, Galleria Labus, 1988.
M. BERNARDELLI CURUZ, Dalla bohème parigina al Moma, “STILE Arte” n. 49, giugno 2001.
G. RAINERI TENTI, Primo Formenti, “STILE Arte” n. 60, luglio 2002.
“STILE Arte” n. 78, maggio 2004, Dagli esordi figurativi all’informale.
GALDINO, Primo Formenti, “STILE Arte” n. 79, giugno 2004.
“STILE Arte” n. 80, luglio 2004, Primo Formenti, tecniche e quotazioni.
D. MAFFONI, Trasparenze dell’anima, “STILE Arte” n. 81, settembre 2004.
Brescia, dicembre 1939.
Grafico, è stato allievo di Antonio Stagnoli negli anni 1960-1961. Designer di professione, ha tutta-via all’attivo numerose partecipazioni a mostre collettive in note città italiane e personali a Desen-zano (1963, 1970, 1972, 1973), Verona (1967), Gardone R. (1971), Collio (1972), Brescia (1972, 1974, 1975, 1976, 1978), Bergamo (1973), Milano (1972), Venezia (1975).
Anche nei suoi dipinti prevale la struttura grafica tanto che non pare del tutto errata l’affermazione di chi dice i suoi quadri simili a disegni colorati. “Clown, vagabondi, giovani all’angolo di una strada, in confidenze senza parole, o via con uno sgambetto verso i lidi della fantasia”, così Luciano Spiazzi coglie il fuggevole estro racchiuso nei lavori di Formigoni che delle sue tele sembra aver fatto “un teatrino le cui luci sono sfumate d’azzurro, di rosati e gialli in un intersecarsi di piani, perché quelle case, quei paesaggi nella luce svelata del giorno si rapprendono ancora di immaginazioni, tra realtà e irrealtà”.
Di Formigoni hanno scritto ancora Attilio Mazza, M. Rossi Beltrami, i testi dei quali sono raccolti in album senza datazione usato ripetutamente dal pittore in occasione delle sue esposizioni.
La mostra itinerante “Vagabondaggio” varata nel 1997 nella Biblioteca civica di San Remo, e dopo le tappe di Venezia, Milano Padova e Ferrara giunta a Brescia (AAB, ottobre-novembre 1999), per proiettarsi fino al 2003 verso diversi stati europei, quali l’Austria, la Repubblica Ceca e la Germania, condensa ed esplicita con estrema chiarezza il mondo immaginato, e vissuto, da Roberto Formigo-ni. La cui effervescente umanità lo porta ad assumere diversi impegni di solidarietà civile. Allo stes-so tempo voglioso di evadere da una realtà omogeneizzata, fino a identificarsi con alcuni dei prota-gonisti della cultura contemporanea “antagonista” quali il Premio Nobel Herman Hesse, la cui carica di contestazione e di rifiuto si proietta contro la oppressiva e disumanizzante società contempora-nea.
Formigoni fa vivere personaggi come i clowns, gli acrobati, i vagabondi, globetrotters… giramondo elevati a simbolo di libertà.
Un mondo proposto via via in ripetute mostre collettive o personali divulgatrici del suo “racconto” personalissimo che ha mosso l’attenzione di numerosi notisti d’arte, italiani e stranieri, per non dire degli ambiti riconoscimenti… Testimonianze tutte riunite, sia pure in forma documentaria carente, nel catalogo “Roberto Formigoni. Vagabondaggio”, edito con la mostra del 1999 dall’AAB.
Le rassegne itineranti a tema, condivise fra altri con G.B. Tomasoni e la fotografa Anna Mari Mon-tone, sono divenute una costante nella proposta di Formigoni, ispirata alla meta del viaggio, al pae-saggio elevati ad anelito di libertà.
Così è per “EROS ioni” che fa riferimento all’opera letteraria di Egon Schiele nella quale sono analiz-zati la corposità e l’enigma della carne.
“Histoire des masques” è ulteriore evento che ha fra i protagonisti il nostro pittore, che aderendo all’invito di Adriana Cozzolini, gallerista, per l’esposizione tenuta nel Museo della Preistoria di Mon-tone ha approntato manufatto condotto secondo la tecnica Ruku. Inaugurata il 27 febbraio e chiusa il 23 agosto 2003, la manifestazione ebbe notevole risonanza.
È del 2004 ulteriore rassegna itinerante, promossa dalla Banca Cooperativa Agro Bresciano di Ghe-di, dal titolo “BICI mania” e propone il velocipede come ideale mezzo per viaggiare o per il tra-sporto. Giunta in città, alla Piccola galleria UCAI nell’ottobre 2005, toccherà poi il Libano e il Kuwait.
BIBLIOGRAFIA
R. LONATI, “Dizionario dei pittori bresciani”, Giorgio Zanolli Editore, 1984.
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“Roberto Formigoni”, Novellara, Museo civico, 1990.
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AA. VV., “Vagabondaggio. Formigoni illustra Herman Hesse”, Brescia, AAB, 16 ottobre - 3 novembre 1999.
T. ZANA, Formigoni viaggiatore del paesaggio tra sogno e libertà, “STILE Arte” n. 39, giu-gno 2000.
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Montone. Formigoni e l’Histoire des masques, “STILE Arte” n. 65, febbraio 2003.
“STILE Arte” n. 83, novembre 2004, Roberto Formigoni.
M. MONETA (a cura di), “BICI mania”, Brescia, Galleria UCAI, 20 ottobre - 10 novembre 2005. (Cfr.) “STILE Arte” n. 92, ottobre 2005.