Secolo XVIII.
Veronese, da alcuni indicato come Giuseppe. Fu tra i più celebri incisori - vignettisti italiani del Settecento. Non si conosce la ragione per cui abbandonò Verona per stabilirsi a Brescia dove iniziò una feconda attività di illustratore di libri e frontespizi di cui, però, fu raramente disegnatore. Nel 1759 in città iniziava la collaborazione con gli editori Giovanni Battista Bosini e Giovanni Maria Rizzardi.
Fra i libri da lui illustrati vi sono: A. SAMBUCA, “Due lettere alla contessa Donna Mariana Colleredo Crivelli”, Brescia, Rizzardi, 1762, con due vignette disegnate da G. Turbini; “Prospetto della Giostra tenuta a Brescia il 3 febbraio 1766” comparso nel volume di A. BROGNOLO, “La giostra dell’anello fatta da cavalieri bresciani”, Brescia, Rizzardi, 1766.
Incise anche il diploma della Società di agricoltura, una stampa: La SS. Croce che si venera nella cattedrale di Brescia effigiata al naturale; il Ritratto di Panagioti da Sinope nel volume di P. BAZZANI, “Vita del Panagioti da Sinope”, Brescia, Rizzardi, 1760; il Ritratto di V. Gaifami, posto come antiporta del volume di 0. Di S. Maria, “Dissertazioni storiche critiche sopra la cavalleria antica e moderna”, Brescia, Rizzardi, 1761.
Quando la sua fama andò divulgandosi, il Cagnoni venne invitato a Milano dove si conquistò la stima dell’ambiente colto e dove ebbe incarichi anche governativi. Collaborò poi con la Stamperia reale di Parma fondata da G. B. Bodoni che considerava il Cagnoni “bravissimo incisore”. Morto a Milano l’8 gennaio 1797.
A integrazione v’è quanto porta il “Dizionario degli incisori bresciani”, edito nel 1994, recante la relativa bibliografia.
BIBLIOGRAFIA
“Enciclopedia bresciana”, Ediz, La Voce del popolo.
R. LONATI, “Dizionario dei pittori bresciani”, Giorgio Zanolli Editore, 1984.
Secolo XV.
Fratello di Paolo il Vecchio e cognato di Vincenzo Foppa, svolse prevalente attività in Pavia, dove è documentato: nel 1465 per la collaborazione con Bartolomeo della Canonica nel dipingere fregi ornamentali nel chiostro piccolo della Certosa; nel 1472, allorché affrescò pareti nella cascina Mirabello, proprietà Portinari, dipinti i cui superstiti frammenti sono ormai illeggibili; nel 1475 ancora per collaborazione prestata al Foppa nel dipingere i distrutti affreschi in S. Giacomo e nel 1489 in seguito a disputa con il cognato Vincenzo a causa di un Crocefisso commissionato loro per il chiosco del convento del Carmine, sempre a Pavia.
Da quanto di lui rimane non è possibile emettere definitivo giudizio; certamente la vicinanza del Foppa dovrebbe avergli offerto possibilità di esprimersi a buon livello, fino ad oggi non riscontrato nelle opere note.
E ancor oggi la figura e l’opera di Bartolomeo da Caylina emergono a fatica, nell’ambito della bottega familiare, nonostante le ricerche condotte negli ultimi anni, incluso il volume “Paolo da Caylina il giovane e la bottega dei Da Caylina nel panorama artistico bresciano fra Quattrocento e Cinquecento” curato da P.V. Begni Redona per conto dell’Amministrazione civica di Villa Carcina nel 2004.
BIBLIOGRAFIA
J. FFOULCKES, R. MAIOCCHI, “V. Foppa”.
THIEME - BECKER, Vol. VI, (1912).
R. MAIOCCHI, “Codice diplomatico artistico di Pavia, Vol. I e II, Pavia, 1937-1949.
“Storia di Brescia”. Vol. II.
R. LONATI, “Dizionario dei pittori bresciani”, Giorgio Zanolli Editore, 1984.
(Il Giovane). Circa 1485 - Post 1545.
Figlio di Bartolomeo Cailina (v) e nipote di Vincenzo Foppa, non ebbe in dono doti tali per sfruttare appieno la vicinanza del grande zio. Le opere note lo fanno pittore prolifico, ed altre attendono una definitiva attribuzione al suo pennello. Anche la sua identità faticatamente riemerge da un passato assai confuso, tanto che anche il nome gli è stato sovente alterato (Paolo Zoppo, Paolo Foppa, ecc.). Certamente fu intimamente legato a Vincenzo Foppa, tanto da esserne il procuratore a Milano e Pavia negli anni 1503 e 1504 e poi esecutore testamentario ed erede.
Così, fin dagli inizi anche la sua opera è nella scia di quella dello zio: come nella Deposizione per la chiesa di S. Giovanni, a Lumezzane. Forse amico di Giovanni Bellini, a Ferrara deve aver conosciuto il Bembo, che parla di un Paolo da Bressa intento a decorare i camerini di Lucrezia Borgia nel castello estense durante gli anni 1505-1506.
Di poco posteriore, gli è attribuito il polittico in S. Afra, al quale seguirà altra Deposizione in S. Giulia. Dal 1515 al 1522 è inseribile un altro polittico, in Lovere, dove “il richiamo al Francia è quanto mai opportuno… per il vivo squillare di tinte nel cielo luminoso… pur con quelle ingenuità provinciali, con quella mestizia spenta negli sguardi”.
Discussioni ancora potrebbero portare a nuovi approdi critici circa le ante d’organo con la Fustigazione e il martirio dei SS. Nazaro e Celso, datate 1518 e poste nella chiesa omonima; mentre per i riscontri stilistici, sono collocabili negli anni 1510-1527 gli affreschi in S. Salvatore, ove si ravvisano influssi post foppeschi e più lontani ancora.
Echi veneti e più vicini nel tempo racchiudono le opere nella chiesa di S. Agata e raffiguranti Adorazione dei Magi, Natività ed Epifania, così come gli affreschi in S. Pietro in Oliveto, per i quali v’è dubbio di attribuzione.
Sicuramente databili al 1527 sono invece gli affreschi in S. Giulia eseguiti a fianco di Fioriano Ferramola. Il Morassi ha per questa opera tentato le attribuzioni delle parti eseguite dai singoli pittori.
Altre opere sarebbero da ricordare: dall’Ultima cena, ora alla Pinacoteca, agli affreschi nella chiesa di S. Cassiano o quelli di Milzano, Nuvolento, Malonno ondeggianti fra la memoria del Foppa e le impronte date dal Romanino, con il quale Paolo il giovane ha lavorato all’Annunciata di Bienno e la cui influenza è riscontrabile anche nelle opere per la chiesa parrocchiale di Lavone, o a Sabbio Chiese e nel monastero di Provaglio, collegabili pure ai ben più notevoli dipinti in S. Giovanni di Edolo (1530-1532). Quest’ultima opera, pur con evidenti echi romaniniani, ha nota originale, purtroppo non ripetuta nei successivi lavori in S. Maria delle Grazie, nelle telette per la chiesa dei SS. Cosma e Damiano o nella Salita al Calvario, in S. Pietro, ed altre ancora, fino all’ultimo intervento, del 1541-1542, ancora in S. Maria delle Grazie dove la sua pittura diviene “debole ripetizione di accenti lombardo emiliani”.
Paolo Cailina il giovane fu anche miniaturista e ritrattista di non grande valore, come attestano i ritratti di Rovedo Fadino presso l’ospedale civile e del Gentiluomo di casa Da Como a Lonato.
Se questa è la traccia essenziale dell’attività di Paolo da Caylina il Giovane, conferma della sua prolificità perviene dalle più vicine ricerche che hanno consentito di redigere un completo catalogo delle opere, ma che l’esiguità dello spazio dato al “Dizionario” non consente di riflettere. Si può tutt’al più affermare che tutte le maggiori fabbriche sacre cittadine recano segno, più o meno evidente, del suo operare: con quelle già ricordate si notano S. Francesco, i SS. Cosma e Damiano, S. Croce, S. Giovanni evangelista, il Carmine…
Altrettanto può dirsi per quanto delle sue opere rimane nella provincia e oltre: da Lavone a Botticino Sera, da Gussago a Bormio, Provaglio d’Iseo, Manerbio, Castel Mella e, ancora, Cassago di Calvagese della Riviera, Mozambano, Robecco d’Oglio, Lovere, Sondrio.
Del Museo di Budapest il “Compianto di Cristo morto con la Madonna, S. Giovanni evangelista, S. Giovanni Battista, i SS. Faustino e Giovita, Maria Maddalena, un sacerdote e due devoti”. La tela è stata da Achille Glisenti ceduta al Museo nel 1895 come opera di Floriano Ferramola, attribuita poi ad “anonimo bresciano” e solo nel 1978 restituita a Paolo il Giovane.
BIBLIOGRAFIA
Sta in: P.V. BEGNI REDONA (a cura di), “Paolo da Caylina il Giovane e la bottega dei Caylina nel panorama artistico bresciano fra Quattrocento e Cinquecento”, Comune di Villa Carcina, 2003.
(Il Vecchio). Attivo fra 1450 e 1489.
Cognato di Vincenzo Foppa, è a Pavia nel 1458, ma per il fatto che il grande pittore è spesso lontano dalla città non ne è molto influenzato, almeno da principio. Anzi, sembra avere più degli altri della cerchia una personalità in grado di fondere elementi lombardi tardo gotici e nuove forme del protorinascimento veneziano che già si erano insinuate anche nel territorio bresciano.
Presente a Brescia nel 1451 per la stipula di atti con religiosi, nel 1458 è invece documentato a Pavia, per una diatriba che Foppa ha con il veneziano Nicolò dé Franceschi; dello stesso anno è l’opera firmata e datata nella chiesa di S. Albino a Mortara, conservata in Pinacoteca torinese. Riflettente l’arte degli Zavattari, di Moretti nonché, per i grigi perlacei dei visi, il Foppa, e contenente altresì echi padovani, toscani e veneti, collegabile ad altro dipinto, anteriore d’un decennio, dell’ambito del Cailina anche l’affresco con Madonna e bambino della cappella in S. Maria del Carmine. Per assimilazione, allo stesso ambito par possibile dare anche il poco che resta dell’affresco in S. Francesco e, ancor più, il trittico esistente nella chiesa di S. Nazaro.
Distrutta la sua opera maggiore eseguita nella loggetta dell’orologio sul lato di mattina della allora recente piazza del Comune, la personalità di Paolo il vecchio potrebbe trarre giovamento dalla sicura attribuzione di dipinti ancor oggi al vaglio critico. “Piccolo maestro”, nella luce del XV secolo, Paolo Cailina il vecchio ha tuttavia il merito di aver avvicinato l’arte veneta alla terra bresciana contribuendo alla evoluzione della pittura lombarda. Da deduzioni attinte in atti d’archivio, parrebbe che nel 1475 egli fosse già morto, o quantomeno lontano da Brescia. Si veda: Paolo da Brescia.
BIBLIOGRAFIA
Sta in: P.V. BEGNI REDONA (a cura di), “Paolo da Caylina il Giovane e la bottega dei Caylina nel panorama artistico bresciano fra Quattrocento e Cinquecento”, Comune di Villa Carcina, 2003.
Secolo XV.
Citato da Antonio Fappani che, facendo riferimento a una lettura tenuta da Paolo Brognoli il 4 marzo 1920, ricorda come il nobile appassionato di memorie patrie abbia illustrato appunto “un quadro da lui posseduto di Guglieimo Cajo, pittore bresciano del XV secolo”.
BIBLIOGRAFIA
”Enciclopedia bresciana”, Ediz. La Voce del popolo, Vol. I p. 293, alla Voce: Brognoli Paolo.
R. LONATI, “Dizionario dei pittori bresciani”, Giorgio Zanolli Editore, 1984.
Torino, 1856 - 1915.
Si ricorda brevemente questo insigne scultore perché è l'autore del monumento a Giuseppe Zanardelli, noto a tutti i bresciani. Inaugurato nel 1909 a porta Stazione, presenti il re, ministri e autorità, negli anni Trenta è stato trasportato nei giardini fiancheggianti via XX Settembre.
L'opera ritrae lo statista bresciano avvolto nella toga, il braccio levato nella calorosa arringa. L'alto marmoreo fondale che fa risaltare la bronzea staua, reca scolpita una quadriga, simbolo dello stato.
A Davide Calandra, Brescia ha concesso la cittadinanza onoraria.
Rovato, 3 febbraio 1878 - 29 maggio 1957.
Studiò a Brera con Cesare Tallone che lo stimò molto. Si ritirò poi a Rovato dove fu infaticabile “lavoratore” del pennello. Disinteressato fino all’inverosimile, preferì vivere povero e, spesse volte, incompreso e triste anziché arrendersi al facile mercato. Frequentò le famiglie nobili della Franciacorta (Cavalieri, Maggi) e i Bettoni di Bogliaco.
Numerose le sue opere. In una esposizione tenuta presso la Scuola “F. Richino” a Rovato nell’ot-tobre 1958 vennero esposte ben 104 tele e 24 disegni ed acquarelli di proprietà di famiglie private.
Il Panazza lo giudica “vero artista”, anzi… uno dei maggiori artisti della prima metà del nostro secolo e dei meno noti. Personalissimo il suo stile per cui – sempre secondo il Panazza – se i suoi lavori giovanili come il Ritratto del bidello di Brera (1890-1895; proprietà ing. Conti) o la Natura morta firmata e datata 1899 (proprietà ing. Conti) mostrano evidenti influssi del Tallone, suo docente all’Accademia di Brera, nonostante una maggiore costruzione plastica ad opera della luce e una più fresca intonazione cromatica rispetto al suo maestro.
Fra le prime opere è anche quel Ritratto del cognato che nel modellato nervoso e ben costruito, nella luce che dà “il senso della materia” nello squisito accordo di grigi non ha nulla a che fare con lo sfumato, con le tonalità profonde e morbide, con quel che di misterioso e di stanco caratteristico degli ultimi epigoni del Cremona o del Ranzoni, ed invece si collega stranamente alle opere dei macchiaioli toscani.
Di un momento successivo sono il ritrattino in rosso della figlia Fulvia (proprietà Calca), le Cucitrici (proprietà dei nipoti); il Ritratto della signora Cavalieri, del 1911 circa, che può quasi essere preso a simbolo di un gusto e di un’epoca. Il colore diviene più sfrangiato, ma le figurette e le scene non perdono la loro consistenza; accanto alle note profonde, alle tinte smorzate dei lombardi, ecco la vivacità di certi bianchi, di certi rossi che richiamano a volte il Mancini; la pennellata è acuta e spigliata.
L’influenza del Liberty e del floreale è visibile nei ritratti della Signora Conti (1911-1913 circa) e della Signora Caravaggi (1913) nei quali la tavolozza si schiarisce e intensa è la ricerca dei caratteri.
Il Calca fu ritrattista di notevoli capacità, come dimostrano i ritratti dell’Avv. Cavalleri (1925 circa), del dott. Fanzar, della Signora Avanzini, dell’Avv. Caravaggi, dal Panazza definito “non indegno dei nostri maggiori pittori del Rinascimento”.
Intorno al 1929 vennero eseguiti da lui due paesaggi raffiguranti la zona di Gallipoli; particolarmente suggestiva la Marina.
Verso il 1936-1937 il pittore andò sempre più chiarendo la sua tavolozza, che tale resterà fino alla morte. E’ l’epoca dei paesaggi e delle scene di vita rovatese, dei dipinti con le gallinelle. Queste fusioni di colori sono rilevabili soprattutto nelle ultimissime opere.
Un pittore così dotato non poteva non essere disegnatore squisito: ne fanno fede vari schizzi a matita e a penna, alcuni con reminiscenze dal Piccio, ma con un segno più lineare e pungente in luogo della sfumata levità del grande lombardo; in qualche altro con un fare alla Previati, ma tutti condotti con spontaneità e con estro.
Fu anche artista sacro, come nella chiesa di Villa di Chiavenna e nella prepositurale di Rovato alla quale dedicò l’ultima sua opera: un S. Paolo per la vetrata.
Suoi affreschi del 1939 sono nella scuola di Rovato.
Nel lodevole programma della comunità rovatese mirante a ricuperare la memoria degli artisti del luogo, si inserisce la mostra dedicata dall’11 settembre al 13 ottobre 1993 a “Gerolamo Calca. Pittore”, ordinata nel complesso della Scuola, prossima al Palazzo municipale. Curata da Mauro Corradini, la rassegna allineava 75 dipinti dagli inizi del Novecento agli anni Cinquanta suddivisi in quattro sezioni: ritratti, figure, paesaggi e nature morte. In catalogo, con il saggio del curatore, il contributo di Tarcisio Bertoni, mentre di Gaetano Panazza e Lorenzo Favero sono riproposti interventi editi nel “Giornale di Brescia” del 15 ottobre 1958 e in “La Voce del popolo” del 18 ottobre 1958, relativi alla prima mostra postuma.
Il ricordo del pittore si è ulteriormente precisato nel 1996 allorché, dal 21 dicembre, nella sala della AAB, è stata proposta la mostra “Gerolamo Cal-ca. 1878-1953” curata da Pia Ferrari, autrice del saggio in catalogo e della Bibliografia integrante quella del “Dizionario dei pittori bresciani” edito nel 1980.
Dal 2 al 28 gennaio 2000, per la cura di Beppe Bonetti, la Galleria d’Arte moderna di Gazo degli Ippoliti (MN) propose ulteriore rassegna dedicata a Calca, mirando una volta ancora a dimostrare “l’importanza della provincia, che nell’artista rovatese ha un rappresentante di grande rilievo, sottovalutato dagli stessi suoi concittadini”, come afferma Bonetti nel pieghevole recante pure saggio critico di P.F.
A integrazione si segnalano gli articoli “La mostra a Rovato del pittore Gerolamo Calca” e “Quando la pittura dava lezione di architettura” firmati rispettivamente da Tarcisio Bertoni e Aurelio Pezzotta per un non meglio identificato periodico “Storia locale” diffuso nel periodo della mostra del 1993.
BIBLIOGRAFIA
“La Sentinella bresciana”, 13 ottobre 1901, Consiglio comunale.
“Il Popolo di Brescia”, 27 maggio 1925, Mostra d’arte pura e appli-cata.
N. F. V.(icari), Altre opere alla I Triennale d’arte, “Il Popolo di Brescia”, 31 maggio 1928.
P. FEROLDI, “L’Arengo”, a. VIII, n. I, gennaio 1935, p. 50 e segg.
D. BONARDI, La sindacale d’arte a Brescia, “La Sera”, Milano, 29 aprile 1940.
“Giornale di Brescia”, 15 settembre 1950, Premio Franciacorta.
“Giornale di Brescia”, 29 novembre 1952, Premiati a Rovato gli allievi della Scuola di disegno “F. Richino”.
H. VOLLMER, “Kunsterlex”, Vol. I, (1953).
G. PANAZZA, Gerolamo Calca, “Bollettino parrocchiale”, Rovato, novembre 1958.
(Per la Mostra postuma) e “Giornale di Brescia”, 15 ottobre 1958.
L. ZENUCCHINI, Il pittore Gerolamo Calca, “Bollettino parrocchiale”, Rovato, novembre 1958.
T. BERTONI, Tipiche figure rovatesi rivivono nell’arte di G. Calca, “Giornale di Brescia”, 14 ottobre 1958.
L. FAVERO, La mostra di G. Calca, “La Voce del popolo”, 18 ottobre 1958.
“Storia di Brescia”, Vol. IV.
“Enciclopedia bresciana”, Ediz. La Voce del popolo.
F. MANENTI, Vivace etichetta farmaceutica fa ricordare Calca, “Giornale di Brescia”, 10 maggio 1979.
A. M. COMANDUCCI, “Dizionario dei pittori… italiani”, IV Ediz. (1971).
Per l’attività di docente si veda: “Scuola professionale di disegno F. Richino”, Rovato 1976. Poligrafiche Bolis, Bergamo, 1976.
R. LONATI, “Dizionario dei pittori bresciani”, Giorgio Zanolli Editore, 1984.
L. ANELLI, “Il paesaggio nella pittura bresciana dell’Ottocento”, Brescia, 1984.
“STILE Arte” n. 48, maggio 2001, Albereta “riscopre” Gerolamo Calca e le sue immagini di Franciacorta.
“STILE Arte” n. 53, novembre 2001, Calca, nell’isolamento una straordinaria visione della quotidianità.
Gardone V.T., 1969.
Autodidatta, ha affinato le proprie doti avvicinando pittori della sua terra, mancando in valle scuole d’arte. Acquisita dimestichezza con la tecnica dell’acquerello, per qualche tempo se ne è avvalso per produrre paesaggi scanditi da toni lievi testimonianti notevole sensibilità.
Ma il suo procedere creativo si caratterizza in seguito per la continua ricerca dei mezzi espressivi, operando dapprima con fantasia accordi monocromatici, specie nei soggetti ispirati a temi sacri. Immergendosi poi nel figurativo inteso classicamente e con esso producendo paesaggi, nature morte e ritratti recanti echi impressionisti e cubisti.
A fianco dell’acquarello si sono evidenziate altre tecniche, dalla tempera all’olio, alla tecnica mista e, dagli anni Novanta, tutto si carica di forte visionarietà e nota evocativa, sospinta dalla esigenza di individuare quale sia la via migliore per proporre espressione non dipendente. La figura umana assume deformazione espressionista, mentre i paesaggi palesano essenzialmente il palpito del dato atmosferico, spesso inquieto.
Attraverso questo procedere Calcari è pervenuto a una ricerca “fantastica ed emozionale che va al di là del mero dato figurativo”. Negli ultimi lavori, i paesaggi in particolare, protagonista non è il motivo ritratto, bensì il colore, la forma: un approdo che pone dunque in primo piano le risorse immaginative e coloristiche. Sono toni accesi, accostamenti cromatici vivaci riflettenti le emozioni e le sensazioni vissute dall’autore. Che nelle figure espressionisticamente concepite esprime la tensione estremizzata delle linee entro le quali affiorano fremiti di intensa emotività.
Particolarmente intensa la partecipazione a mostre collettive e a premi provinciali di Tiziano Calcari, da Cellatica a Bovegno, da Lumezzane a Camignone, Lonato, Montichiari, che lo hanno visto sovente salire il podio dei primi. Successivamente la proposta di suoi dipinti si è estesa a Soncino, Mapello, Pastrengo, Fratta Polesine, Caprino Veronese, Busseto, Reggio Emilia, Rovigo, Fontanellato… con una puntata in Francia, a Les Corielis.
BIBLIOGRAFIA
AA. VV., “Tiziano Calcari. Catalogo delle opere 1990-1996”, Brescia, 1997.
AA. VV., “L’Arte lombarda in Valcamonica alle soglie del terzo millennio”, Pisogne, Galleria La Tavolozza, 2000.