Valvestino, 15 luglio 1922, Vobarno, 26 novembre 2001.
Lavoratore della Falck di Vobarno, si è formato nella cerchia pittorica di quella acciaieria, partecipando a numerosi concorsi riservati ai lavoratori, affermandosi alcune volte anche in campo nazionale: dal riconoscimento ottenuto al Primo premio nazionale “Gesù lavoratore” del 1958, al Sesto premio biennale Falck in cui s’è posto nella rosa dei premiati (1963), al primo posto conseguito nel concorso indetto dalla “Gazzetta del Lavoratore” (1966)… per non dire delle presenze varie in seno alle mostre aziendali.
Con quattro compagni di lavoro e appassionati pittori, nel 1968 è con numerose opere alla A.A.B. Già a quella data appaiono chiari l’acquisita padronanza tecnica e l’interesse alla figura umana, al tema corale e popolare. Questa sua visione s’è riconfermata nella personale bresciana del 1970.
Le larghe spatolate energiche, di macerato colore, danno ai suoi dipinti la sensazione di rustica e rude espressività inseribile nel filone postinformale. Barbieri meglio si esprime dunque allorchè coglie aspetti di vita, di una realtà cruda, quotidiana, che rende con efficace immediatezza..
BIBLIOGRAFIA
“Galleria A.A.B.”, Brescia, 14 - 26 dicembre 1968.
“La Voce del popolo”, 21 dicembre 1968.
“Galleria S. Chiara”, Brescia, 1 - 12 ottobre 1970.
E. C. S.(alvi), Mostre d’arte, “Giornale di Brescia”, 9 ottobre 1970.
G. STELLA, “Biblioteca Comunale di Vobarno”, Vobarno, 26 maggio - 10 giugno 1969, Catalogo. Mostra collettiva pittori Vobarnesi.
R. LONATI, “Dizionario dei pittori bresciani”, Giorgio Zanolli Editore, 1984.
Secolo XVI.
Forse fratello di Francesco (v.) manerbiese, lascia opere di scalpello: egli stesso si definisce "picapietre".
Stefano Fenaroli, nel "Dizionario", cita in particolare il lavoro dell'architrave e del cornicione di palazzo Loggia "eseguito a settentrione della fabbrica stessa in unione a Giacomo Fostinelli e Arone da Fine", alle cui rispettive voci si rinvia.
La collaborazione alla Loggia risulta da documenti del 1551 , del 1554 mentre nel 1560 e 1565 il Barbieri figura a fianco di altri intagliatori: Santo di Carzago, Horatio di Barbari e Lanfranco Fassoni (v.).
Durante la ristrutturazione del presbiterio di S. Maria dei Miracoli, nel 1576, il Barbieri conviene di far "tutto l'intaglio et friso che va nella cornise et architravo da essere messo allo incontro l'altro che è nella chiesa della Madonna predetta".
Per lo stesso santuario sembra aver realizzato anche il candeliere intagliato sul pilastro a destra dell'altare maggiore.
Valentino Volta, nel contributo offerto a "Manerbio nel XVI secolo", definisce attraverso documenti gli impegni assunti da Vincenzo Barbieri e cita i collaboratori via via presenti al suo fianco dall'anno 1551 e per più d'un ventennio.
Contributo determinante alla conoscenza di questo "mastro" ha dato C. Boselli nel 1965, recensendo il "Dizionario biografico degli italiani".
Quinzano d'Oglio, 19 febbraio 1879 - Roma, 1 ottobre 1972.
Di questo scultore nostro siamo riusciti ad individuare soltanto alcune tenui tracce bresciane, bastevoli però a dirlo artefice di non trascurabile personalità.
Figlio di Pietro e Serafina Griggi, dal paese natio si trasferisce a Brescia il 4 marzo 1897: ha solo diciotto anni, ma riesce a ben inserirsi nell'ambiente artistico locale. Nel 1908, in occasione del primo concorso per il Vittoriano in Roma, unitamente a Timo Bortolotti (v.) e Vitale sottoscrive una lettera di felicitazioni inviata dal pittore Mario Bettinelli ad Angelo Zanelli, risultato vincitore per l'opera decorativa dell' Altare della Patria. Dello stesso scultore benacense, Bardetti è collaboratore in Roma negli anni 1910 e 1911.
Il 28 dicembre 1918, quando vive e opera ormai nella capitale, sposa la signorina Anna Sacerdoti, di agiata famiglia, che pur di coronare il sogno d'amore col nostro scultore abiura la propria fede, venendo così diseredata.
L'ascendenza israelita, sarà per la sposa motivo di gravi amarezze. Donna di elevata virtù, dovrà altresì soffrire non poche rinunzie pur di stare accanto a chi, arso dalla fiamma dell'arte, mal si adatta alla contingente quotidianità. La lontananza dalla terra natia non impedisce a Bardetti di alimentare l'amicizia nata in giovanili anni con compagni d'arte bresciani; se Umberto Franciosi lo ha ritratto in un dipinto ancor oggi custodito in collezione privata bresciana, con la moglie sarà varie volte ospite di Giovanni Asti (v.), l'ospitalità tradotta in conforto morale e materiale per l'amico le cui difficoltà della vita pratica affiorano a più riprese. Come il 13 dicembre 1925, quando ringrazia Gabriele D'Annunzio dell'invio di denaro "in un momento di estrema necessità"; oppure il 3 luglio 1927, giorno in cui rivolge al Comandante l'eloquente "servono per l'ossigeno ... perdoni".
In questi anni ben affiora il rapporto di Giacinto Bardetti con Gabriele D'Annunzio. )ìasce /' Inno al sole, più noto come S. Francesco: la collocazione della bronzea statua nel verde del parco meditata dallo stesso autore, a fronte della stanza in cui il Poeta morrà. Il Santo assi siate eleva le braccia a formare col corpo ideale Croce, la filiforme figura dall'ampio gesto sottesa a l'intesa spiritualità del volto scavato. Di fronte a quest'opera possiamo credere a Napoleone Martinazzi quando afferma essere quel viso "il ritratto della moglie dello scultore, lei stessa confessa di aver posato per il modello in creta"; e la mente avverte la condizione esistenziale di una dolce e sensibile donna, d'un uomo capaci di rara consonanza spirituale, in essa trovando la forza di vincere la vita. Perché nel 1935 emerge ulteriore testimonianza di assillanti difficoltà materiali, gravate per di più da sofferenze fisiche.
Nel 1942 Anna Sacerdoti muore: sulla sua tomba al Verano, Giacinto Bardetti depone sublimi moti non recisi dal distacco terreno.
Ancora Gabriele D'Annunzio ha dato nome ad un piccolo bronzo custodito al Vittoriale: lo Scimmione. Accanto, con una piccola statua di S. Francesco è La Vedetta d'Italia; significativa figura di soldato ammantellato.
A Giacinto Bardetti sappiamo legati d'amicizia altri artisti: lo scultore cremonese Alceo Dossena, il bresciano Pietro Malossi (v.) che gode il privilegio di avere in Vaticano alcune opere di cesello; di questa amicizia testimoniano alcuni scritti augurali degli anni Trenta.
Custodite dai figli di Giovanni Asti altre opere possiamo citare, sono i profili di Frà Girolamo Savonarola, Nietzche, Gabriele D'Annunzio, una figuretta muliebre. Le piccole calcografie (ne esistono certamente repliche) recano l'esito di essenziale, levigata stesura ripresa nel volto di Stalin che mi si dice assai simile a maggior ritratto commissionato dall'Ambasciatore sovietico in Roma. Vivezza d'espressione e di modellato racchiude il minuscolo Autoritratto, gli sfumati contorni offerenti l'intima natura dello scultore.
Se confermato, l'interesse manifestato anche in occasione di mostre capitoline da esponenti di nobili famiglie, da principesse e regnanti, dovrebbe condurci ad altre opere, soprattutto a Brescia e Roma. Così come Scimmione veduto al Vittoriale potrebbe rappresentare una serie di animali nata dalle lunghe ore trascorse dall'autore al giardino zoologico, fino a divenire provetto "animalista".
Sofferente di cuore, Giacinto Bardetti è scomparso quando stava approssimandosi al secolo di vita. La veneranda età sembra avergli chiesto in pegno sconsolati abbandoni, e l'amarezza del sopravvenuto silenzio intorno alla sua attività creativa. Valgano queste note inadeguate ad evitare almeno lo smarrirsi nel tempo dell'opera sua.
v. Antonelli Lidia.
Brescia, 16 maggio 1940.
Brescia
Orafo, pittore, al fine scultore.
Fin da ragazzo, quando ancora frequenta le classi elementari, palesa spiccata attitudine al traforo e una paziente capacità di "lavorare fino".
A soli dodici anni entra nel laboratorio di un orafo di Valenza trapiantato a Brescia; vi collabora per qualche tempo realizzando incisioni su fucili, anelli, spille. Tanto rapido è il suo apprendere che, tornato in patria l'Anelotti, il giovanissimo Baresi è in grado di affrontare l'attività in proprio.
Per affinare le innate doti frequenta tuttavia corsi di incastonatura delle pietre preziose a Valenza e a Gallarate; segue altresì i corsi serali della A. A. B. sotto la guida di Domenico Lusetti. Ha così modo di inserirsi nel campo dell'arte bresciana accostandosi a Rodini, ad Aride Corbellini, Francesco Medici (v.) con il quale ancor oggi continua un rapporto di amicizia e di collaborazione.
Nel susseguirsi delle varie sedi del suo laboratorio, dapprima in via Gramsci, in contrada del Cavalletto poi, fino allo spazioso negozio di via Solferino, Lorenzo Baresi ha modo di educare all'arte orafa numerosi giovani. Soddisfa al tempo stesso "il desiderio di regalarsi un diploma di scuola regolare" e nel 1970 consegue l'attestato di Maestro d'arte presso !'Istituto "G. Savoldo", dove in seguito insegna incisione. Al 1964 risale la partecipazione a mostre collettive nell'ambito dell'alto artigianato: rassegne che avvicinano i più noti orefici della nostra regione. Fra le tante val almeno citare l'Esposizione ordinata nel palazzetto dell'E.I.B. nel 1970 e contrassegnata da aurea medaglia; le successive presenze a Bologna (1974) unico esponente lombardo designato da apposita commisione; al "Centro P. R. Lorenz" di via Montenapoleone a Milano (1975); a Roma, con monili segnalati da un articolo di G. Satta nel "Messaggero" (1976); a Sirmione per !'''Omaggio a Catullo" (1978); la più vicina mostra ordinata nel nostro teatro Grande (1978).
Se l'oreficeria è prevalente attività di Baresi, le sue creazioni, anche le più piccole, racchiudono quasi sempre motivi plastici: sbalzati o scolpiti, sono parte essenziale di suppellettili quali posacenere, tabacchiere, portagioie, teiere, vassoi, coppe e calici ... Esemplare in questo senso la Coppa degli sposi recante nello stelo la vicenda di Adamo ed Eva cacciati dal paradiso terrestre. Gli stessi aurei o argentei monili, per le raffigurazioni che racchiudono, possono dirsi sculture in miniatura alle quali l'autore dà pure un titolo: Saluto al sole, creato per secondare iniziativa a favore dei miodistrofici; Gabbiano ricordo di breve soggiorno in Sardegna, animali leggendari quali Cavallo marino o Mamma pellicano che nutre di sé i suoi nati.
Accanto agli sbalzi raffiguranti Madonne, episodi biblici o della vita di Gesù stanno le piùgrandi sculture a tutto tondo scolpite nel legno, fuse nel bronzo: Maternità. Salvataggio, alcuni Crocifissi sono indicativi di come Lorenzo Baresi affronta tronchi d'ulivo per estrarne stilizzate figure, recanti nel composto atteggiamento, nello sguardo arcaica espressività, silente drammaticità.
Alcune di queste sculture sono in collezioni private, bresciane e di fuori, un Crocifisso adorna la cappella funeraria della famiglia Sala nel cimitero di S. Francesco di Paola; un'aureo calice istoriato è presso il santuario rezzatese, altro in argento al Centro salesiano di Bologna.
Anche se la "Botteghina", insegna veramente rinascimentale che contraddistingue l'elegante negozio aperto in via Solferino, prende prevalente parte del suo tempo, Lorenzo Baresi non esita a sottrarre momenti alla famiglia, al riposo pur di perseguire l'ideale d'arte riflesso nella finezza, nel gusto della nota sua produzione orafa.
Caino, 5 agosto 1896.
Ragioniere e impiegato, ha sempre coltivato la passione per la pittura e soltanto nel 1971, presentato in catalogo da G. Valzelli, ha esposto in mostra personale alla “Galleria Brixia”, di Via F.lli Porcellaga. Figurativo, coglie scorci di Brescia e del Borgo in cui vive o si addentra nel paesaggio delle nostre montagne o del Garda. I suoi acquarelli raggiungono sovente una particolare pacata serenità.
BIBLIOGRAFIA
G. VALZELLI, “Galleria Brixia”, Brescia, 12 - 25 dicembre 1971.
R. LONATI, “Dizionario dei pittori bresciani”, Giorgio Zanolli Editore, 1984.
Secolo XVIII.
Rinviando allo Zani, Stefano Fenaroli ("Dizionario degli artisti bresciani") lo definisce scultore del quale non si conoscono opere. Più vicini studi hanno appurato che Baroncini fu marmoraio a Rezzato. Operò ad Alzano Maggiore, Carpenedolo, Manerbio (1746 - 1747) Cividate çamuno (Parrocchiale, Altare di S. Antonio, 1727) e Breno firmando Vincenzo Baronsino. 1740 l'altare maggiore della parrocchiale. E nella chiesa rezzatese di S.Giovanni Battista gli è dato l'altar maggiore.
Brescia, 8 settembre 1939.
Paesaggista, ha al suo attivo numerose partecipazioni a rassegne provinciali e nazionali, mentre ha allestito recenti mostre personali in ambito locale e a Cremona. Legato alla tradizione naturalistica, disegnatore sicuro, del mondo ritratto coglie “il momento in cui sembra scoppiare di ardori trattenuti nel lento passare delle ore”. Le sue opere nascono durante viaggi non soltanto in Italia. E sono fatte di caldi toni pregnanti, di atmosfere crepuscolari ma limpide, così che i panorami si accendono di luci effuse, silenti, a volte fiabesche. Il rorido colore cerca altresì episodi di vita popolana, la fatica degli umili, nature morte dai vaporosi accostamenti cromatici riconducenti ai maestri nordici per l’impianto, a volte ai veneti per la spazialità cromatica.
Di lui si conosce soltanto quanto hanno scritto Vittorio Brunoni e Luciano Spiazzi, concordi nel riconoscergli l’istintività filtrata da lungo operare e il desiderio di “migliorarsi e di arricchire non solo se stesso, ma anche coloro che accedono a un suo quadro”.
BIBLIOGRAFIA
R. LONATI, “Dizionario dei pittori bresciani”, Giorgio Zanolli Editore, 1984.
Ospitaletto, 1952.
Due le fonti alle quali Luciano Baroni ha alimentato la propria vena creativa: la collaborazione prestata all’Officina Rivadossi che gli ha consentito di avvicinare l’arte contemporanea e l’insegna-mento di Ugo Fasani frequentato fin dagli anni Ottanta. A questo decennio risalgono le sue prime esposizioni collettive a Boario Terme (1986), Iseo (Azienda autonoma di soggiorno, 1991), Brescia (1992), Muratello di Nave (1993), Capriolo (1994), mentre le mostre personali si sono susseguite in Sulzano (1987), Peschiera Maraglio (1989, 1990, 95 e 97), Vernazza (1998), Pietrasanta (1999), Correggio (2000). Né va ignorata la partecipazione al Premio “Giorgio Mondadori e Associati” tenutosi nel 1992.
Soprattutto paesaggista, Luciano Baroni trae ispirazione dal “camminamento di una via, dal pertugio di un’altra”, l’immagine ricca di cromatiche sfumature ricreanti atmosfere sospese.
Quando protende lo sguardo alle coinvolgenti sponde iseane, vi coglie le effuse luci che stemperano il profilo dei contornanti colli dai toni grigio argentei, di contro ai quali risaltano le sagome delle caratteristiche barche cullate dal lento moto dell’acqua.
Soffermandosi a descrivere interni costituenti le nature morte, la disposizione compositiva si fa ordinatamente complessa e disvelante pluralità di piani sui quali risaltano gli oggetti della quotidianità, i fiori: la tavolozza dai colori caldi e preziosi riflette atmosfere silenti, una intimità profondamente percepita.
BIBLIOGRAFIA
G. RIVADOSSI, “Luciano Baroni. Opere 1995 - 1999”, Pietrasanta, Officina Michelangelo, 17 luglio - 22 agosto 1999.
C. ADANI (a cura di), “Luciano Baroni”, Correggio, Galleria “Lo Scettro”, 14 ottobre - 7 dicembre 2000.
G. VALZELLI, “Luciano Bonini”, Urago Mella, Pieve, aprile 2005. (Cfr. R. LONATI, “La Voce del popolo”, 15 aprile 2005).
Brescia, 27 gennaio 1940.
Autodidatta, si è rivelato pittore in tenera età, la tecnica affinata frequentando Franco Bertulli con il quale è rimasto fino al 1969. La sua attività espositiva è iniziata nel 1965 partecipando a concorsi e mostre collettive in Brescia (Premio Città di Brescia e Circolo S. Afra), e Gussago. Del 1969 la presenza al Premio Città di Cremona, del 1971 quella nelle bresciane Gallerie “San Michele” e “Il Chiostro”. Il 1974 lo vede gareggiare a “Villanuova e Raldaglio”, il 1978 al Concorso Internazionale di pittura “Il Quadrato OMITA” nel quale primeggia. Ancora presenzia a manifestazioni locali nel 1984, 1988 e 2000.
Mostre personali ha invece allestito nella Saletta d’Arte “La Bussola” nel 1972, nella “Miravalle” e ancora “La Bussola” nel 1973, mentre negli anni 1974, 75, 76 è la Galleria d’Arte “L’Araldo” a ospitarlo. Ulteriori mostre singole ha tenuto nella Galleria “Cattaneo” (1977), nella “San Gottardo” nel 1986, nella Sala circoscrizionale di S. Eufemia nel 2004.
Baronio sta al vero con una certa baldanza coloristica, in ciò confortato dalla scuola in cui ha mosso i primi passi. Sono vedute di vario genere, compresi gli scorsi profondi della Bassa, ma pure panorami marini animati da nature morte sulla rena a far da primo piano. Pittura post impressionista, la sua, attenta ai valori luministici in grado di creare effetti di morbidezza, sia che componga netti contrasti di luce o di ombra. Pittura comunque gioiosa, in cui la partecipazione emotiva rende spontanea la composizione. Dando verità a quanto il pittore ama ripetere: vorrei che ogni pennellata fosse un’emozione, un’espressione dell’anima.