Sarezzo, 25 aprile 1901.
Enrica Tempini in Furia, giunta a Brescia nel 1919, è maestra elementare e vive il clima artistico bresciano manifestando al tempo stesso inclinazione alla pittura esplicata con apprezzabile impegno nelle ore libere dall'attività didattica. Gli esiti della sua dedizione alla pittura appaiono maggiormente evidenti negli anni Trenta-Quaranta, quando suoi dipinti sono accolti alle mostre sindacali provinciali bresciane, a partire dal 1936.
Nel 1938 Approdo e Pensatore sono definite «fra le attente prove» della giovane autrice, che nel 1942 è ancora presente alla VI Mostra del sindacato provinciale di B.A. con Bosco, Casa cantoniera, Fondovalle.
L'amicizia degli artisti locali, la stima e l'amore alle cose d'arte nostre la portano ad essere designata a far parte della Commissione incaricata di redigere lo statuto della núscitura Associazione dell'Arte e Cultura, divenuta poi Associazione Artisti Bresciani, assieme agli scultori Giovanni Asti, Mario Gatti e ai pittori Vincenzo Pini e Aride Corbellini, nel 1945.
Pur conservando casa e domicilio in città, dopo la scomparsa del marito le vicende della vita la portano a vivere sovente con le figlie: a Milano, fuori d'Italia, tanto che solo nel 1970 ci è dato di ricordare la sua presenza fra noi, in occasione del XXV anniversario di vita della A.A.B.
Anche nel periodo in cui si stendono queste note, l'anziana pittrice sembra essere assente da Brescia e ci rammarichiamo di non poter udire dalla sua viva voce più compiute notizie sulla sua attività creativa.
BIBLIOGRAFIA
«III Mostra del sindacato prov. B.A.», Brescia, 1936, Catalogo.
P. FEROLDI, Pre(,isa~ioni.... «il Popolo di Brescia», 2 dicembre 1936.
«IV Mostra del sindacato prov. B.A.», Brescia, 1938, Catalogo.
P.FEROLDI, La quarta mostra sindacale, «Il Popolo di Brescia», 15 febbraio 1938. «VI Mostra del sindacato prov. B.A.», Brescia, 1942, Catalogo.
«A.A.B.», Brescia, ottobre 1970, Mostra postuma dei Soci, nel XXV di fondazione. Catalogo.
Secolo XVIII.
Nativo di Chiari, padre e primo maestro del più noto Giuseppe, è autore della pala posta sull'altare maggiore nella chiesa di S. Man'a del paese natio.
Il Fenaroli, nel «Dizionario», lo dice artifice mediocre e giudica la pala assai modesta, sia pur armoniosa nelle tonalità.
Chiari, 17 febbraio 1758 - 23 luglio 1848.
Figlio di Giovan Battista (v.) è pittore da meglio conoscere, nonostante numerosi siano gli studiosi a lui interessati, alcuni dei quali lo dicono nato il 12 maggio 1760.
Avviato all'arte dal padre, seguì dapprima gli insegnamenti del trevigliese Fabrizio Galleani, trasferendosi poi a Roma (1775) per interessamento di Stefano Morcelli, suo conterraneo; e nella capitale fu discepolo di Pompeo Batoni.
Qui egli affinò particolarmente le naturali doti, volgendole a forme neoclassiche di raffinata stesura.
Dopo breve periodo trascorso a Bergamo, nel 1787 fa ritorno alla cittadina natale, intraprendendo fervorosa attività svolta nel Bresciano e suscita ammirazione nel Morcelli, che scrive «Lettere e carmi dedicati a Giuseppe Teosa». Prevalentemente autore di affreschi, a tempera e a encausto, numerose le realizzazioni che si possono ricordare: del 1793 è la decorazione a sfondo mitologico nella casa Cuni (ora Rovetta); le scene di vita romana in palazzo Nigroboni di Verolanuova; le mitologie in alcune sale del bresciani palazzi Martinengo Cesaresco, Panciera di Zoppola, Calini o in villa Rusmina a Chiari. Scomparso ormai, è ricordato con particolare calore il cielo di affreschi eseguiti nel 1810 nel Teatro Grande, dove Teosa aveva decorato «il parapetto del palchi con trofei e la volta con emblemi guerreschi e simboli napolconici fra cui prevaleva l'aquila che stringeva il fulmine negli artigli, ment;e nel clipeo centrale aveva raffigurato l'apoteosi di Napoleone personificato in Marte ed incoronato d'ulivo da Minerva».
Per chiese numerose affrontò il tema sacro: nella parrocchiale clarense (1797) realizzò S. Agata in gloria @ Discesa dello Spirito Santo; in quella di Cologne (1814) Assunta e Cristo in gloria accanto ad altre varie decorazioni; a Caravaggio (1827) nella chiesa dedicata alla Beata Vergine compì l'Assunta, Appari ione della Vergine a fànciulle e fanciulli fra le sue migliori opere; ad Adro (1842) Salomé con la testa mozzata del Battista; a Provezze (1846) Vergine Assunta e medaglie varie; ad Iseo Ultima Cena, Ascensione di Cristo, pure assai elogiata ma incendiatasi nel 1891.
Altri numerosi ancora sono gli interventi decorativi da almeno citare: nelle parrocchiali di Provaglio, Castenedolo, Gussago, così come è da ricordare il giovanile S. Luigi Gonzaga nella Pinacoteca clarense, accanto a Beata Vergine del Rosario.
Nella chiesa dedicata al SS. Filippo e Giacomo v'era un S. Michele; una Via Crucis resta nella chiesa di S. Maria Maggiore di Chiari.
Minor rilievo nella vasta produzione hanno invece alcuni dipinti citati in studi e repertori ed ubicati a Pelalepre, Darfo (1790), Pademo, Gorzone, Calino... Teosa fu anche ritrattista: rimangono così le immagini del Morcelli e dell'arciprete Imbriani, ove l'autore «sembra superare gli schemi ancora settecenteschi e quel qualche cosa di convenzionale che hanno molti ritratti neoclassici».
Parecchi disegni custodisce la Pinacoteca di Chiari.
Alla mostra dedicata alla pittura bresciana dell'Ottocento, Teosa figurava con Cerere, Madonna, Offerta ad una divinità, Ritratto di S. Morcelli.
BIBLIOGRAFIA
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P.BROGNOLI, «Guida di Brescia», 1826.
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A.M. COMANDUCCI, «Dizionario dei pittori... italiani», tutte le edizioni.
G.PANAZZA, Le manifestazioni artistiche della sponda bresciana... «Il lago di Garda», Ateneo di Salò, 1969, p. 258.
Ciliverghe, 27 febbraio 1949
Per qualche tempo ha frequentato l'Istituto «G. Savoldo», ma guida e incitamento ha trovato soprattutto nella vicinanza del compianto prof. Peppino Terzi nel confronti del quale il giovane pittore nutre ancor oggi profonda riconoscenza. Affacciatosi alla ribalta artistica sul far degli anni Settanta, ha partecipato a collettive provinciali e regionali a Mazzano (1973, 74, 75), Villanuova sul Clisi (1974, 75, 76), S. Felice del Benaco (1976), quindi a Vaccolino di Comacchio (1978), Brescia (1979), Caravaggio (1980).
Prevalentemente paesaggista, nelle parole dedicategli da Nella Mariani sentiamo appieno interpretato il suo modo di esprimersi con «rara coerenza tonale, ricca di impasti preziosi in una condizione poetica che trae origine dalla sensazione immediata e con gesto rapido del suo pennello che ne avvalora una accertata sensibilità, di un pensiero in continuo fermento, con un dialogo di palpitante freschezza dove il colore si fonde in tutt'uno armonico, espresso in una voluttà emozionale».
Ne sortono panorami in cui la luce è protagonista, unicamente alla formale eleganza compositiva di una figurazione resa con tratto mosso ed evidente fatto ritmo, a riflettere le cadenze di una visione lirica in rapida evoluzione.
BIBLIOGRAFIA
«Panorama d'arte '77», Magalini Ed. Brescia, 1977.
«Abba: arte contemporanea», Brescia, 3-15 novembre 1979, Collettiva.
Brescia, 23 luglio 1926.
Particolarmente fervorosa ci appare la presenza in pubblico di Giovanbattista Terzi, pittore autodidatta che ha partecipato a numerose manifestazioni in città italiane di notevole rilievo; personali ha invece allestito a Genova (1951, 1964), Verona (1953, 1963, 66, 1974), Mantova (1956, 1970, 74), Bologna (1959, 1965), Brescia (1961, 68, 1978), Milano (1968, 1973), Cannes (1968), Monaco di Baviera (1969), Salò (1976), Jesolo e Torino (1977). E noti critici di lui si sono interessati: da Luciano Budigna a Mario Monteverdi, da Ignazio Mormino a Mario Portalupi, Carlo Segala, Dino Villani, Orlo Vergani e Mastrolonardo; i bresciani Alberto Morucci e Luciano Spiazzi...
Certo che alla mancanza di studio accademico, supplisce il grande entusiasmo di cui Terzi è capace, e il «fervidissimo rapporto d'amore con le immagini naturali» è un rapporto che nasce e che si determina nel segno della più limpida sincerità, della più totale fiducia; è un rapporto senza ombre, senza dubbi, senza sospetti, come ha osservato Luciano Budigna.
Ne sono nate innumerevoli visioni tratte dalla vita del pescatori, angoli di alberate praterie, lontananti vele sul lago, immoti barconi lungo sponde di fiume e di laghi; nature morte con suppellettili; cavalli in libertà e voli d'uccelli, vicoli di paesi rivieraschì e degradare di colli...
Ed i titoli di alcuni di questi dipinti sembrano direi il desiderio dell'autore di superare o trasfigurare la realtà: Ricca pesca, Danza d'amore, Odore di , Momento magico...
Sono figurazioni composte con larga pennellata chiarista, filtrate quasi «attraverso il ricordo, attraverso le segrete trame della nostalgia o, se si vuole, di una malinconia serena, venata di speranza e di consapevolezza; in una dimensione di profondo lirismo».
L'apparente disinvoltura esecutiva delle opere, l'evanescente cromatismo che sembra consumare contorni e piani possono a volte nuocere al dipinti, rendendoli fragili sia nella concezione, sia nella composizione. V'è però chi, in questo estenuarsi di forme e luci, ha ravvisato «il vigore d'un alto raggiungimento tecnico».
BIBLIOGRAFIA
Sta in:
L. BUDIGNA, «G.B. Terzi», Catalogo s.d. e stampatore (1978).
Si veda inoltre:
G.VALZELLI, Il Garda in un bicchiere, «Giornale di Brescia», 4 giugno 1965.
L.SPIAZZI, Arte in città, «Bresciaoggi», 15 aprile 1978.
Valico Sopra (Lucca).
Vissuta per tre anni in Brasile, in quella nazione ha allestito la sua prima mostra personale.
Trasferitasi a metà degli anni Cinquanta a Brescia, ha operato silenziosamente, raramente aderendo a collettive (Bagnolo Mella, Mostre sociali della A.A.B.), nelle sale della Associazione di via Gramsci allestendo la sua seconda mostra personale, nel 1972.
Autrice di romanzi, alterna l'attività letteraria con quella pittorica, svolta con impegno di autodidatta.
Anzichè adoperare pennelli, compone i colori direttamente con le mani; realizza così «psico-ritratti», non accontentandosi di cogliere le forme, ma cerca nell'introspezione valori nuovi, più profondi. Ed ecco allora che il volto di una donna le suggerisce la forma di un etereo vaso... oppure il ricordo delle ninfee evoca un mondo sommerso, visto con gli occhi del sogno.
Ma accanto a questo filone, altro ne esiste: quello naif. I suoi paradisi terrestri sono una festa per gli occhi, com'ebbe a riconoscere Attilio Mazza, dando ad Antonietta Testoni il merito di una esuberante e fresca fantasia.
BIBLIOGRAFIA
A. MAZZA, «Galleria A.A.B.», Brescia, 29 aprile - I I maggio 1972.
Secolo XIV.
Nel dire di questo pittore è necessario porre in evidenza che la sua figura ed alcuni aspetti della sua opera si compenetrano a quelli di altri artisti quali Prandino (v.) e, soprattutto, Giacomo Coltrino (v.).
Appartiene alla schiera degli artefici che nel primi decenni del Quattrocento sono stati alle dipendenze di Pandolfo Malatesta e forse operosi in Broletto, oltre che in Castello; o comunque in edifici adattati a nuovi usi, nel rirtnovarsi della città.
Secondo recenti studi sono artisti di modesta levatura e possono rientrare nell'ambito gentilesco. Ed in passato vi furono momenti in cui Prandino e Testorino furono preferiti al sommo Gentile da Fabriano.
Fra i primi studiosi che fanno cenno a Bartolino Testorino sono Elia Capriolo, L. Alberti («Descrizione d'Italia», 1537), il Rossi che afferma «questa sovversione da Cremona si vedeva dipinta dal nostro Testorino nella parete posta a mezzo giomo della chiesa vecchia di S. Faustino». Ma facendo cenno alle pitture in Brescia «et in particolare nella chiesa sotterranea di S. Faustino Maggiore, quella che parecchi anni or sono fu distrutta con notabile detrimento delle nostre più belle ed antiche memorie» ignora il Testorino ed attribuisce le opere a Giacomo Coltrino. Ancora il Cozzando («Vago e curioso ristretto, 1694) ridona al Testorino «le nobilissime historie della trasportazione e trinfo» del SS. Faustino e Giovita.
t il Lanzi che da primo ha confuso i due pittori e i dubbi si trascinano ancora. Ciò non di meno, il Testorino figura nelle polizze d'Estimo del 1388, 1416, risultando abitante in Il S. Johannis, del 1421 ov'è detto operoso con altri agli stemmi visconti in Castello e a Porta Bruciata. Altri pagamenti riceve nel 1426. Stante la nebulosità che ancora l'avvolge unicamente a Coltrino Giacomo e Ottavio Prandino, si rinvia alle rispettive voci la cui bibliografia è valida anche per Testorino.
Si fa cenno di questi due artisti, padre e figlio, veneziani, perché autori di dipinti notevoli nella nostra città e Provincia.
Giambattista Tiepolo sommo (1696-1770) dipinse la parrocchiale di Desenzano e le due grandi tele di Verolanuova, oltre che quella dedicata al Battesimo di Costantino nella chiesa di Folzano.
Gian Domenico Tlepolo (1727-1804) dipinse invece nella cittadina chiesa dei SS. Faustino e Giovita. V'è da rammentare, che per l'alta qualità, queste decorazioni fecero discutere per l'attribuzione. Per tanto tempo date al padre, solo da pochi decenni sono state riconosciute invece del figlio.
Per le notizie bresciane si rinvia alla «Storia di Brescia».
Brescia, 12 maggio 1921.
Compiuti gli studi magistrali, si è diplomato maestro d'arte all'Istituto «P. Toschi» di Parma. Per due anni ha frequentato l'Accademia di Brera, in Milano, sotto la guida di Carlo Carrà e Achille Funi (1950 circa).
Docente in scuole medie statali, al Liceo artistico «V. Foppa», dopo il 246
collocamento a riposo ha intensificato l'attività in seno alla A.A.B. di cui dirige la Scuola serale ed i corsi di specializzazione nelle varie tecniche.
Presente a manifestazlónl artistiche fin dalla fondazione dell'Associazione di via Grarnsci (1945) ha quindi esteso la partecipazione a Premi in numerose località bresciane e città fra le quali si ricordano: Iseo (1947), Suzzara, Siena, Reggio Emilia (1949), Francavilla a Mare, Genova, Rovato, Gallarate (anche in successive edizioni), nonché le edizioni genovese, milanese e romana delle Olimpiadi culturali (1950); Gorizia (111 Mostra giovanile d'arte figurativa, 1951), quindi Monza, Melzo, Temi, Clusone (1951), Gardone R iviera (1953), ßovegno (1954), Valdagno (1956), Breno (1959), Monticelli Brusati (1965), Lumezzane (1973).
In Brescia, oltre alle Mostre sociali della A.A.ß. con il Premio sulla caccia del 1964, lo si ricorda aderente a collettive della Galleria Vittoria e dell'U.C.A.I. Mostre personali ha allestito a Rovereto (1949), Gorizia, Udine e Trieste (1952), Brescia (1958 e 1963).
Da più di un decennio ha si può dire esaurito la sua partecipazione a mostre. Il soggiomo parigino, testimoniato dalle opere esposte in alcune personali del primi anni Cinquanta, si riflette a lungo nella pittura di Primo Tinelli.
Se alcuni dipinti ripropongono la Senna, la bianca chiesa del Sacrè Coeur, Notre Dame, i ponti ed i barconi, i lampioni a gas avvolti da atmosfere grevi che rendono cupi i prevalenti verdi, gli azzurri, le terre, l'impianto geometrizzante delle anonime case dagli spioventi tetti parigini sarà tradotto anche nello schema compositivo di contrade nostrane scorte nella silente luce vespertina. «Allora - osserva Renzo Bresciani - gli archi rampanti della cattedrale di Parigi valgono quanto i fasci di rotale e le fauci nere delle ferriere Tassara di Breno o il gioco dei verdi e del gesso avorio nell'esemplare paesaggio delle calchere di S. Eufemia, o il più vivo e nitido inciso-come sa fare Tinelli con il suo gusto di acquafortista - quadro dedicato alla vecchia officina del gas di Brescia». Accanto alle visioni urbane nascono sulle rive dell'Iseo prediletto composizioni dal più chiari colori, azzurri e verdi, mentre resta la riassuntiva, essenziale campitura a ricreare i colli, le stradette dal fondo di terra, le masse degli ulivi... Le, nature morte «ingigantite» dedicate a frutti, a oggetti e attrezzi casalinghi, campeggianti sulla superficie della tela, segnano il successivo ricercare di Tinelli che, accanto ai dipinti a olio, a tempera, a tecnica mista, dà vita a opere calcografiche: acqueforti, litografie influenti anche sulla resa cromatica del dipinti.
E con il rinnovarsi delle tematiche, annoveranti da ultimo i soli muri, gli «intemi-estemi» si affermano i grigi, i tenui verdi.
Prevale il disagio esistenziale, s'avverte pienamente la partecipazione dell'autore a fermenti o ad eventi ben esemplificati da opere quali R@forma carceraria e Albero in città?
Autore di scenografie per il Piccolo Teatro città di Brescia negli anni 1950-1954 circa, Tinelli ha pure collaborato a varie pubblicazioni della Scuola editrice. Nel 1946 si è aggiudicato il premio sul Legato Brozzoni; sue opere sono alla Pinacoteca bresciana.
BIBLIOGRAFIA
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Ghedi, 1954.
Fin da quando aveva quindici anni si è rivelata pittrice: per l'intenso amore manifestato per i pennelli ed i colori. Conosciuto anche Antonio Valencia, il noto pittore le è stato vicino per qualche tempo, contribuendo ad af'finarne le innate doti. Appena ventenne affronta il pubblico con una mostra personale a Isorella, seguita nello stesso anno da altra nel paese natio, poi a Roncadelle e, nel 1975, a Brescia.
Partecipa al tempo stesso a concorsi provinciali a Signese, Arona, Brescia e Ghedi.
Nerina Valeri, che la ha presentata in occasione della mostra cittadina, chiarisce la natura pittorica di Claudia Tinti: dal colori nitidi, cristallini dei paesaggi dal grigi-ghiaccio, all'azzurro, all'aragosta, leggermente sfumato in tonalità chiare, a qualche intensa pennellatura di verde, quasi lo specchio dell'anima capace di creare personaggi che trasudano, dall'infanzia, all'adolescenza, all'età adulta uno struggente trinomio di amicizia, affetto, amore, in un simbolismo denso di contenuto, laddove il tema della solitudine è il solo pedale in sordina di una musica sussurrata, il brivido leggero di una brezza, il tenue accenno di un sorriso, una attesa stemperata di paziente serenità.
BIBLIOGRAFIA
N. VALERI, «Galleria Il Quadrifoglio», Brescia, 19 aprile - 2 maggio 1975.